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sopra quella di tutti, allora è cosa giusta, che quella stirpe sia regia, e che quel solo sia re, e padrone di tutti gli altri; chè, come io ho detto innanzi, la cosa non sta così solamente per via di quel giusto, che proferiscono quei, che costituiscono gli stati, e gli ottimati, dico, e quei de’ pochi potenti, e li popolari, che tutti cioè vogliono dare gli onori alla eccellenza.
Ma e’ non convengono già tutti in chiarire la medesima, ma ella sta così ancora per via del giusto detto innanzi, cioè ch’e’ non è convenevole, e che un tale uomo, che gli altri sì di virtù trapassi, sia ammazzato, o fatto ribelle, o perseguitato con l’ostracismo; nè ancora è convenevole stimare per ben fatto, che egli ubbidisca scambievolmente; perchè la natura non vuole, che la parte avanzi il tutto. E ciò interviene a chi siffattamente trascende gli altri.
Onde resta a conchiudersi, che a tale si debba ubbidire e che e’ debba essere fatto padrone non ora sì, e ora no, ma assolutamente. Quai sieno adunche le differenze del regno, e se egli è, o non è utile alle città, e a quali, e in che modo, siensene determinate nel modo detto. E perchè io ho detto gli stati buoni essere di tre sorti, l’ottimo dei quali per necessità è il governato dagli ottimi. E tale è, dove accade, che un solo uomo, o che una stirpe o che una moltitudine di cittadini avanzi di virtù tutto il resto, che possa stare sottoposto, e a chi tali possino comandare per fine di vivere felicemente. E ne’ primi discorsi avendo mostrato ancora essere necessario, che la virtù dell’uomo, e del buon cittadino sia la medesima, però è manifesto ancora, che con le medesime arti un solo uomo si fa virtuoso, e la città intera si può instituire alla forma ottimate, o regia. Laonde le instruzioni e i