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ed è infatto: ma e’ non è ad ogni uomo, ma è agli eguali. Ed all’incontro l’ineguale pare che sia giusto, ed è infatto; ma non a ogni uomo, ma è agli ineguali. Ed in questi stati si to’ via a chi e’ sia giusto, e però vi si giudica male. E la ragione è, che ’l giudicio è di loro stessi; ma quasi la più parte degli uomini sopra le cose proprie danno male giudizio.

Laonde perchè ’l giusto è a certi, e dividesi nel modo detto; cioè e nella cosa, e negli uomini, siccome io ho detto innanzi nell’Etica, però questi tali confessano la parità delle cose. Ma le contese sono di chi ell’hanno a essere. E questo nasce da quello, che io ho detto cioè perchè e’ fanno male giudizio di loro stessi, e ancora perchè volendo ciascuno di tali stati il giusto insino a un certo che, e’ par loro, che un certo che di giustizia sia la giustizia vera. Chè questi se in alcuna cosa sono inuguali (come è dire nelle ricchezze), e’ si stimano d’essere interamente inuguali; e quegli, se in qualche cosa e’ son pari (come è dire nella libertà), e’ si stimano d’essere pari in tutti i conti; e così non dicono il giusto principalissimo, e il vero.

Perchè se il fine di ragunare insieme li cittadini fusse per le facultà, egli avrebbe uno a partecipare per questa ragione tanto nel governo, quanto egli ha partecipazione nella roba; onde la ragione dello stato dei pochi potenti varrebbe: perchè ei dicono non essere giusto, che e’ partecipi dell’utile di cento scudi, chi n’ha messo nel traffico un solo per tanto, quanto chi v’ha messo tutto il restante, così negli utili fatti innanzi, come ’n quei che sono fatti dappoi.

Ma tale ragione non è valida se la città è stata constituita non solamente per cagione del vivere, ma molto più per cagione