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libro terzo — cap. iii. 99

cittadino buono sia la medesima o no, e se tale dubbio merita d’esser considerato. Imprima è da avvertire quella del cittadino alquanto in figura. Così adunque come il marinaio è uno della compagnia della nave, parimente è da dire, che il cittadino sia uno della compagnia della città. Ma dei marinai ancora che gli esercizj infra loro sieno di più sorti, perchè l’uno vi sta al remo, l’altro al timone, e l’altro alla prua, e così discorrendo, chi vi ha uno, e chi un altro nome; contuttociò è manifesto, che la difinizione esatta di ciascuno d’essi è cavata dalla propria virtù di ciascuno. E che medesimamente una difinizione comune s’adatta a tutti essendo l’ufficio universale di tutti quanti la salvazione della nave. Che questo è il fine, che tutti vogliono.

Questo medesimo interviene nei cittadini, i quali se ben sono dissimili, contuttociò l’opera d’essi è per la salvazione del comune; e il comune è quel modo di governo. Onde è di necessità che la virtù del cittadino sia tutta indiritta a quel governo. Ora essendo li governi di più sorti, non può perciò intervenire, che la virtù d’un cittadino buono sia la perfetta. Ma l’uomo buono è quello, che ha la virtù perfetta. E di qui si conchiude manifestamente, che e’ può darsi un cittadino buono, ma che ei non abbia la virtù, secondo la quale si dice l’uomo essere buono.

E ancora per un altro verso discorrendo si può venire alla medesima conclusione, considerando cioè la republica ottima. Perchè s’egli è impossibile, che la città sia composta tutta di cittadini buoni, e se nella città ciascun cittadino è tenuto a far bene l’uffizio suo (e tale cosa si conseguita mediante la virtù, non potendo essere li cittadini simili in tutto) però è ancora manifesto, che la virtù del buon cittadino, e del buon uomo non è la medesima. E la ragione è che