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il dedalione o ver del poeta 503

De. Dunque questa sola fu la cagione, Tiresia, che si ricevesse anco il verso?

Ti. Sola non già, perciò che e’ vi si aggiunse ancora per meno potersi cangiare e postpor le parole essendo legate dal numero (nelle quali parole sta la sustanza della cosa) et appresso per potersi meglio mandare ║ [52] e serbar nella memoria et anco per maggior dignità. Onde vediamo et infin gli oratori ad imitazione del poeta essersi ancor volti al numero, il che primieramente aver fatto si racconta d’Isocrate1.

De. Di modo che gli è pur necessario il verso?

Ti. Egli è di que’ necessarii ultimi, come la perfezion del taglio et una diligente finezza alla scure che, se ben senza tanta perfezione e finezza si possa fare, pur meglio è che con essa si faccia.

De. Mi piace.

Ti. Puoi dunque vedere, se accetti queste cose aver in sè verità, se la poetica sia utile (poichè già m’hai confessato esser dilettevole e necessaria) dove noi crederemo l’anime aver malattie e quelle aver bisogno di medicine, e l’una di esse accetteremo esser la poetica.

De. A mio giudicio parmi tutto essere verissimo.

Ti. Ora a qual medicina compa║reremo [53] la poetica?

De. Alla manna.

Ti. Al chirurgo, se io ben mi ricordo, comparossi il legista.

De. Così fu.

Ti. A cui compararemo il poeta?

De. Compariamolo al medico che noi volgarmente chiamiamo fisico.

Ti. Il filosofo discende parimente all’una scienza et all’altra.

De. Egli è vero.

Ti. Ora quivi è Alesandro iracondo e Fortunio febricitante. Qual de’ due credi tu che venga alla cura di Alesandro o di Fortunio?

De. Credo, essendo vero quel che s’è detto, che il poeta verrà alla cura dell’iracondo et il medico a quella del febricitante,

  1. Marg: Cic. nell’Oratore = III, 173.