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lavorare, così il poeta senza il diletto il qual, come puoi vedere, non è fine, ma più tosto istrumento del fine.

De. Io vi ho inteso, Tiresia, e se ben questi discorsi han bisogno di più sottil considerazione, io per ora assai m’acqueto a quel che voi avete detto. Ma non v’incresca solvermi quest’altro dubbio, che dite il verso non esser di sustanza della poetica.

Ti. Poesia, Dedalione, come Platone dice nel Convivio, altro non vuol dir che fingimento1; perciò che non narra il poeta le cose fatte, ma adducendo alcune similitudini talora lontane, alcune talora vicine, sotto ombra e velami narra le cose che si ║ [45] dovrebbono aver fatte o quelle che far non si dovrebbono, nell’una delle quali si versa la laude, nell’altra il biasimo; per amendue le quali o ci ammonisce a dover fare le cose onorate o ci sgrida a non commetter le malvage. Questo trovato, come s’è detto, fu dal poeta cercando per via del piacer trattener le genti, acciò che adescati dall’apparenti dolcezze, possan sorbire gli amari al primo gusto, ma fruttuosissimi e gloriosi cibi della sapienza; il che non meno per questo si è fatto quanto per velar quelli divini segreti i quali profanamente a scelerati e viziosi manifestar non si devono, come questi dì a dietro nel nostro convivio del primiero ascenso ci mostrò Iacinto della sua favola2.

De. Come sapete, per mia disaventura non mi vi ritrovai; però vi prego che me la diciate, chè non ci disviarà in ogni modo dal nostro ragionamento, e poscia seguirete in esplicarmi la richiesta, che tutto tornarà a maggior ║ [46] chiarezza.

Ti. Volentieri, perciò che io so molto bene ch’ella fa a nostra materia; ma non ti meravigliare se io non la dirò così puntalmente com’egli la riferì, perciò che la memoria non può così di leggeri ritenere i particolari. La favola, dunque, di Iacinto si è questa.

Iacinto, bellissimo fanciullo, fu amato dal Sole e da Zefiro il quale, veggendo il fanciullo più tosto inchinar all’amore di Apolline che al suo, dolente per gelosia, fe’ in modo nel giuocare che il Sole e Iacinto facevano al disco, che soffiando e trasportando la pietra in altra parte che non era stata tratta, percosse nella
  1. Convivio 205C.
  2. Per il mito, cfr. Ovidio, Met. X, 162 sg.