Pagina:Trattati di poetica e retorica del Cinquecento, Vol. II, 1970 – BEIC 1951962.djvu/499


il dedalione o ver del poeta 497

retorica, «il calunniare non è vizio dell’arte, ma ben della volontà e del proponimento»1. Se ben i ridicoli non in tutto si debban biasimare, quando però son per condimento e non per cibo, come si dice degli epiteti d’Alcidamante2 e sì come oggi può dirsi di quelli di Iacopo Sanazaro3, perciò che egli║no [38] son profittevoli in quel caso, essendo quasi un invitamento o, per così dire, un savoretto per farci apprendere le cose buone come il medico concede talora all’ammalato la salsa, ancor ch’ella non sia punto giovevole, per far ch’egli debba mangiare, e sì come vediamo la santissima Chiesa non senza grande e profondo giudicio dentro il circuito di quelle sacratissime mura, in parte nobilissima et in luogo sublime et alto, aver riposti gli organi per allettar gli uomini con la musica a venir a udire la parola di Dio.

E siaci lecito purgatamente e con mondo cuor favellando e dagli usi volgari distaccati, dir una cosa più innanzi: che altro fe’ quella infinita, inesplicabile e sopraintendente sapienza di Dio, col coperto e parabolico parlare sotto molte volte dolci e lusinghevoli apparenze, che una continova, viva e celeste et ideal poesia? Il che, ancora che abbiam rossore di dire per la viltà e bassezza nella quale gli insen║sati [11] scrittori han collocato quest’arte, anzi se stessi, pur mi consola l’essempio dell’amore il quale, nonostante che noi impropriamente torcendo diciamo delle lascivie e delle schifezze e bruttezze carnali di qua giù, nondimeno è proprio dello Spirito Santo. Ma siano con tutto ciò per non dette queste parole, poichè nel mezzo de’ nostri umani ragionamenti ben non istanno, et a’ nostri comuni costumi e terreni tornando e terrenamente favellando, diciamo il poeta esserci veramente come il maestro del figliuolo del re il quale, non volendo avezzare l’animo del giovanetto principe a far le cose servilmente e per forza, lasciato star la sferza, usa modi più gentili e più accorti; e sì come Socrate faceva, il quale, per ritrar gli animi de’ giovani Ateniesi dalle dissoneste pratiche e dalle stolte persuasioni che facciam tutti in que’ primi anni di noi stessi, con bella e destra invenzione, non potendo altrimente il suo fin conseguire, si fingeva esser l’amante et il drudo della lor corporal bellezza per tirargli poscia più facilmente a far delle cose onorate.

  1. Marg: nella Ret. nel fin del proemio. = Ret. I, I355b20.
  2. Marg: nel iii della Ret. a cap. ii. = Ret. III, 1406a1
  3. Marg: nell’Arcadia.