Pagina:Trattati di poetica e retorica del Cinquecento, Vol. II, 1970 – BEIC 1951962.djvu/497


il dedalione o ver del poeta 495

rettorica e Socrate per la logica la quale a tutte altre preponeva, come Protagora riferisce1. Ma questo non fa ora per noi, purchè convenghiamo questi essere veramente quelli tre istrumenti de’ quali si serve il divino medico a guarir gli animi umani.

De. Come mostrerete la poetica esser l’istrumento di questo medico?

Ti. Io ti darò un simolacro assai basso e te ne dei di ligger ricordare, se tu sei stato fanciullo come tutti gli altri uomini. Non ti sovviene che molte volte quando tu eri un fanciullo, che tua madre ti raccontava delle novelle per farti acquetare? E ║ [34] di quello che non ti ricordi, ma dei aver veduto in altri, non sai che le madri cantano delle canzoni a’ bambini per farli dormire? Già so che tu debbi aver letto le nenie del Pontano e sopra tutto que’ divini versi di Dante2:

L’una vegghiava a studio de la culla
E consolando, usava l’idioma
Che pria le madri et i padri trastulla.

De. Il tutto ho letto.

Ti. Sono molti uomini, Dedalione, peggior che fanciulli, i quali a pena con altro che con novelle puoi ritrar al bene, le quali novelle chiamano molti parabole o apolagi, il che riguarda la poetica. Nè ti maravigliare che se n’usi l’oratore perciò che, sì come molte volte si accompagna la manna col reobarbaro et il reobarbaro con l’agarico, così si mescola molte volte per far l’argomento maggiore, la poetica con la retorica; ma come ho detto, tocca questo propriamente al poeta. Simile è quello che si racconta di Stesicoro3.

De. Raccontalo, Tiresia, chè in questo modo ci accorgeremo se vero è che sia quella medicina della quale favelliamo.

Ti. Volentieri. Avendo gli Imerensi eletto Fallari per loro capitano con potestà assoluta e dovendo di più dargli la guardia del corpo, contro ║ [35] di questa impresa avendo molte volte parlato Stesicoro, contò loro questa favola. «Era» disse, «un cavallo che solo si pasceva in un prato; il quale, essendo quivi comparito un cervo che si mangiava la sua pasciona, desiderando contra di

  1. Marg: Plat. nel Filebo = 17A (?).
  2. Par. XV, 121-23.
  3. Marg: Arist. nel ii della Ret. cap. xxxviii = Ret. II, 1393b8.