Pagina:Trattati di poetica e retorica del Cinquecento, Vol. II, 1970 – BEIC 1951962.djvu/493


il dedalione o ver del poeta 491

Ti. Dimmi un poco, Dedalione: de’ mali dell’anima non sono alcuni sanabili, alcuni insanabili?

De. Sono.

Ti. Ad alcuni non fa bisogno di legger medicina, et ad altri Di maggiore e di più possente?

De. Così giudico.

Ti. Come, verbigrazia, ne’ mali del corpo alcuni bisogna spegnerli con tutta quella parte ove sono attaccati, alcuni purgando la parte offesa solamente e senza gittarla, ritornandola nella sua primiera sanità.

De. Vero è.

Ti. Quando dunque i mali dell’anima sono insanabili, il soggetto ove sono non bisogna spegner del tutto e buttar via?

De. Bisogna.

Ti. Ma perchè niuno può uccider l’anima, eccetto Idio, noi guardiamo al composto

De. Verissimo.

Ti. Qual parte dunque della filosofia, ch’è la medicina dell’anima in generale, discende a far questo ufficio?

De. Se io non m’inganno la legge.

Ti. Di modo che ufficio della legge è sanar l’anima dell’uomo col ferro, ancor ch’ella varii empiastri e medicamenti che sono i supplicii, le funi, le prigioni e diverse specie di morti, usi in sanar l’anima. ║ [27]

De. Quello è desso.

Ti. Credi tu esser questa medicina così necessaria all’uomo come quella del corpo?

De. Molto più e senza niuna comparazione è più necessaria questa.

Ti. Dimmi un poco, Dedalione: pensi tu che il medico indistintamente medichi tanto un corpo quanto un altro, ancora che il male sia il medesimo?

De. Non credo io.

Ti. Perchè?

De. Perciò che altrimenti si medicherà un fanciullo che un giovane, un giovane che un vecchio. Similmente gran differenza