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484 s. ammirato

lando si è verbigrazia più tosto ad una picciolissima cosa assomigliato che al sole, è per avventura stato acciò che nel sole non ci fossimo fermati e veramente avessimo pensato essere Dio il sole; la dove con disproporzionati esempi e figure discrivendolo, et a’ savi et agli ignoranti si è sodisfatto: a’ savi di spignerli con queste comparazioni più innanzi, agli ignoranti nè con essi far fermare in così vili materie. La qual cosa, dice Dionisio1, è forse stato cagione che noi ci siamo mossi a gir investigando sì fatte cose, avendoci a ciò commosso la disonesta faccia de’ fingimenti per la quale la proprietà s’esprime degli angeli, non permettendo ║ [14] in niun modo che la mente nostra si fermasse ne’ brutti fingimenti di quelle forme, ma eccitandoci più tosto a rimuover del tutto i mortali affetti e profittevolmente avvezzandoci per le cose che si veggono a inalzarci alle sublimi e celesti.

Bene, dunque, fece Omero il quale, secondo gli antichi e santi teologi, sotto velame di cose basse andò i profondi misteri della divina filosofia nascondendo, se ben tutto ciò richiedeva Platone con più segreto modo e più puro e più netto di questo, contro quel che vediamo de’ nostri teologi. Il che nè biasimo in Platone se egli ciò dice avendo rispetto a fanciulli et a ignoranti, poichè et i nostri hanno avuto questo riguardo, ancor ch’esso medesimo dice2 esser la poesia tutta piena d’enigmati che ogni uom non l’intende. E chi non sa la sapienza di Dio essere ad altri stata giudicata pazzia, ad altri scandolo, ║ [15] e non perciò si dee dir esser mala; e se ben de’ poeti alcuno sarà che male abbia di Dio e delle divine cose sentito, non per questo la poetica danneremo, perciò che in questa guisa il fuoco che arde le città, il ferro ch’uccide gli uomini, l’acqua che allaga i poderi e le abitazioni, sarebbono da noi giudicati per cattivi e per mali, ove cattività e mal veruno pensar non dobbiamo.

Quale scienza è stata di più danno cagione, mal intesa, che la sacra scrittura? E tuttavia non perciò essa sagrata scrittura rimuovere dobbiamo, ma ben dar i modi e le vie come sanamente s’intenda. Per la qual cagione ragionevolmente non molto si può lodare Licurgo, come Plutarco racconta3, il qual, vedendo molti ubbriachi, andò a troncar le viti, perciò che vi dovea più tosto

  1. Marg: nel medesimo = ibid.
  2. Marg: nell’Alcibiade .II. = 147B.
  3. Marg: nel libro de audienda poetica = I, 15E.