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militudine con quella divina sentenza che le margarite non si debbono gittar a’ porci. Per la qual cosa, essendo intenzion di Platone di formar una città, la qual città consiste negli uomini, i quali uomini sono stati prima fanciulli, e perciò volendo gli animi de’ fanciulli informare, non vuol che così fatte cose si debbano lor dire, non come per loro stesse brutte, ma per non potersi in quei teneri anni nè intendere nè penetrare. Il che non potendo negare Marsilio Ficino, se ben disse altrove Platone negli altri luoghi secondo la comune openione aver favellato de’ poeti, nel Gorgia [9] così però dice1: «Veramente discaccia Platone i sofisti tutti e da ogni luogo, i poeti non tutti, ma coloro che degli dii brutte cose fingono e gli animi perturbati intensamente vanno imitando; nè da ogni luogo, ma dalla città, cioè dalla turba de’ giovani et ignoranti i quali di leggeri nelle perturbazioni discorrono e l’allegorico sentimento de’ poeti non penetrano». Vedete dunque da queste poche parole, senza andar molto vagando in soverchie et ambiziose autorità, come i poeti sien discacciati da Platone dalla sua republica. Ma io temerei di non incorrere contro la legge propostaci di eretico, se in alcuna parte osassi di spingermi un poco più innanzi che Platone.

De. Dite, di grazia, Tiresia, poiché così inavedutamente ci siamo trovati discorrere intorno a questa materia, quel che voi ne sentite, nè così ci spaven║ti [10] l’autorità di questi grandi uomini purché ben diciamo, se ben Cicerone vuol più tosto acquetarsi con gli errori di Platone che con la verità d’altri.

Ti. Non crediate, da quel ch’io v’ho detto, ch’io pensi nè che sogni di sentir contra Platone, non già che io veramente [non] pensassi a discostarmi da lui quando così il bisogno il ricercasse, ma perchè qui di fermo cosa non trovo ond’io discostarmene debba. Ma dicendo quel che m’occorre, mostrerò ben poi Platone non aver altrimenti inteso che il vero. Dice egli dunque nella sua Republica queste parole2: «Nè di Omero nè di altro poeta debbiamo seguir l’errore scioccamente di Dio, dicendo nel limitar di Giove esser due botti piene di venture, una di buone, l’altra di cattive, e quando Giove d’amendue queste insieme mescolate ad

  1. Ficino, Epitome in Gorgiana (ed. Basilea, 1576), II, 1015.
  2. Marg: nel ii dial. = 379C-D.