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Interlocutori: Dedalione e Tiresia[1]


De. Quello apunto che si racconta di Ercole io veggo ora essere in me avvenuto, Tiresia; laonde vo più volte cantando que’ versi di Pindaro1:

Salirò io le mura altiere e belle
De la giustizia o pur l’oblique strade
Calcarò de l’inganno e ’n questa guisa
Menarò la mia vita?


Ti. Che è quello che tu di’, Dedalione? Vorresti forse diventarci un uomo di guerra?

De. Cotesto non dico io; ma trovandomi in sul principio dell’esser poeta o filosofo, sto dubbioso per qual dei due sentieri io mi debba entrare.

Ti. Io non farei nessun dubbio per me tra queste due scienze, ║ [2] veggendosi la filosofia, come madre e principio onde tutte l’altre scienze derivano, non ricever questa comparazione.

De. Né io vo’ che crediate, Tiresia, che io sia di così sciocca openione che voglia aguagliar alla poetica la filosofia. Ma ragiono della filosofia di cui intendo valermi per l’arte del medicare, che così parimente il poeta ha dell’aiuto della filosofia mestieri.

Ti. Tra la poetica e la medicina, come parti amendue e figliuole della filosofia, può ben cadere la comparazione che tu di’, ma forse il guadagno ti lusingherà a studiar in medicina.

De. Non mi riputate per uomo di così basso animo, Tiresia, che la cupidigia mi inducesse a seguitare una scienza ch’io stimassi meno degna d’un’altra.

Ti. Che cosa è dunque che ti fa stare con l’animo così sospeso?

  1. Nem. VIII, 37-40 (ma è dubbio).