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APPENDICE

I

All’illustrissimo e reverendissimo signore

monsignor Innocenzio cardinale di Monte

Giovan Battista Modio

È usanza di capitani d’eserciti, innanzi che venga la occasione del combattere, ordinar le squadre de’ lor soldati ed esercitarli diversamente; e, ora insegnando loro a seguire, ora a ritirarsi con debiti modi, ora ad aspettare il nemico e combattere arditamente, far in modo che, dopo gli adombrati combattimenti, non temano al bisogno i non finti pericoli del guerreggiare. E negli studi delle scienzie è antico costume di buoni maestri di avezzare i lor discepoli al contradire e disputare tra se stessi; accioché, talvolta argomentando e talvolta rispondendo, sien presti in ogni occasione a difendere la veritá delle loro opinioni. Altrettanto farò io, illustrissimo e reverendissimo monsignore (se con le cose grandi s’hanno le minime d’agguagliare). Imperoché, avendo in animo di scoprir un giorno, negli anni piú maturi, qualche mio concetto, non ancora udito, ho pensato d’esercitarmi prima ne le cose di poca importanza, e di purgare, quanto per me si potrá, la ruggine della mia natural lingua, per poter poi trattar le maggiori con piú sicurezza e leggiadria. Non altrimente fece Omero, che, avendo di sua natura l’animo intento a gravissimi pensieri, prima che cantasse le battaglie e gli eroici fatti de’ principi troiani e greci, non ebbe a schifo di scriver le contese de’ topi e delle rane. Non altrimente Virgilio, il quale, avendo la mente pregna di altissimi sentimenti e misteri sopraumani, fece dir a una zanzara quel che