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del peso della moglie |
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stato allevato, che si doverebbe egli far della moglie, la quale ha da partorire quei figliuoli al mondo, che hanno a esser l’anima del padre? Ecco colui, che si sente esser ricco: la vuol bella, nè ad altro pensa nè per altro s’affatica che per saper come ella è fatta del viso e della persona; e, per contentar gli occhi, poco curandosi dell’orecchie, s’ará una moglie bella, si tiene felice marito. Anzi, come s’usa in alcuni luoghi d’Italia, non vuol prender moglie, la quale non abbi vagheggiata gran tempo; e cosí prima le insegna ad esser meretrice, che donna e madre di famiglia. Che direm dunque di costui, se non che, togliendolasi per una sua lascivia, bisogna poi che ’l fine ed il mezzo del matrimonio corrisponda col principio? Altri poi, che ha consumato tutto il patrimonio in giuochi, meretrici ed altre disonestá, ricorre al matrimonio; e, per aver la moglie ricca, poco o niente si cura dell’educazione o d’altra buona qualitá. E cosí viene a vendere se stesso ad una brutta e vil feminella e di fecciosi costumi; ed a quella casa, dove libero nacque, si mena una donnicciuola, che gli sia donna e signora sempre. Ma quante fiate avviene che, mettendo egli a sbaraglio cosí la robba della moglie, come ha messa quella del padre, non gli resta poi dove ricorrere, se non a la penitenzia, e da quella a la bestemmia ed a la disperazione. Vien poi quell’altro, il quale, da vilissima stirpe disceso, e con gran iattura dell’anima del padre, veggendosi rimasto ricco, va cercando il modo da far nobile la sua casa. Ma, perché, a guisa del monton di Frisso, tutto il suo pregio consiste nella lana d’oro, conoscendosi non aver in sè virtú veruna, con la quale per se stesso possa farsi chiaro ed illustre, pensa di tôr donna di gran sangue, accioché con la nobiltá di quella possa, se non lui, almeno i suoi figliuoli e nipoti ingentilire. Quinci è che gli avviene quel che d’Issione favoleggiano i poeti, il quale, innamorato della moglie di Giove, avendo, non seco, ma col suo idolo amorosa domestichezza, generò poi non uomini, non dii, ma superbissimi centauri. Conciosiacosaché, non potendo la donna illustrar l’uomo come ben può l’uomo illustrar la donna, ne segue che, non essendo egli congiunto con la vera