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iv - il convito, overo |
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che l’esteriori, o che sian del corpo o della fortuna, elle non sono in podestá nostra d’averle o d’acquistarle, poichè non dipendono dalla nostra elezzione, ma dalla natura e dalla fortuna; le quali, come due tiranni del mondo, dispensano le loro ricchezze o senza ragione, o (quel che è piú tosto da credere) con ragione non conosciuta da noi. Sarebbe bene egli in podestá nostra il desiderio e l’odio d’esse: in quanto ciascuno naturalmente desidera d’esser sano, bello, gagliardo e ricco; ed odia all’incontro la bruttezza, la debolezza, la povertá e l’infermitá; in maniera che, s’egli potesse da se stesso accettare o rifiutare bellezza, ricchezza over povertá e deformitá, per certo egli farebbe elezzione d’esser piu tosto bello e ricco che povero ed infermo. Ma dell’interiori dell’animo, cioè delle virtú o de’ vizi, non avvien cosí. Conciosiacosachè, per seguir elle l’intelletto, come lor capitano, e per esser atti overo abiti della volontá, anzi per dipendere dalla nostra elezzione, la quale è in tutto libera, nè dipende d’altri che da se stessa, a noi sia il voler operar gli atti virtuosi o seguir i vizi. È ben vero che l’esteriori, se ben non si possono eleggere, poichè dipendeno dalla natura e dalla fortuna e non dal voler nostro, si possono però da noi, qualunque elleno si siano, dirizar a buon fine, e sottoporle in modo a l’interiori che, volendo noi virtuosamente operare, quelle non ci ostino o ci impediscano. Come sarebbe a dire: l’esser mio bello o difforme non dia noia a la temperanza; l’esser sano o infermo, debole o gagliardo, non m’impedisca la prudenzia o la fortezza dell’animo; sí come l’esser povero o ricco, non m’osti a l’esser giusto. Chè, altrimenti facendo, ne seguirebbe un grande inconveniente, il quale è questo: che, sí come l’esteriori, che sono umane, andarebbeno innanzi a l’interiori, divine; cosí il corpo, ch’è fatto per uso dell’uomo, signoreggiarebbe a l’anima; e questo nostro stato diventarebbe tirannide o democrazia, e tutti i begli ordini e statuti anderebbono a rovescio. Or, per ritornar a la definizion di Platone, e’ si vede che l’onore non è altro che seguir le virtú interiori dell’anima e, secondo quelle, virtuosamente operare; e dirizar l’esteriori a quel fine, che siano piú tosto