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del peso della moglie 345

de’ poveri uomini che le vogliono; poveri, dico, non solo di beni di fortuna, ma d’animo e di consiglio. Perciochè, per la straordinaria paura che n’hanno, si strette le tengono, ingelosiscono e tanta guardia prendono delle lor mogli, che elle poi, veggendosi a torto fare ingiuria dai mariti, s’avvisano a consolazione di se medesime di trovar modo, se alcuno ne posson trovare, di far sí che sia loro fatto a ragione. E si può pensare che i poeti, i quali molte volte, assaliti dal divin furore, predicevano la veritá, abbino vaticinato le corna ai poveri dell’etá nostra. Laonde Ovidio, parlando di Bacco, disse:

Tunc veniunt visus, tunc pauper cornua sumit.

Ed Orazio:

Tunc addis cornua pauperi.

E che altro pensate voi che significhi la favola d’Atteone, se non l’infelicitá di questi meschini? Avengadio che, volendo che le lor donne vincano Diana di castitá, sì scioccamente n’ingelosiscono e con tanta cura e diligenzia le riguardano, che, per voler saper troppo de’ loro segreti, s’accorgono alfine che elle sono come l’altre, e che han voglia di quel che l’altre. Per la qual cosa, divenuti del tutto vili e sciocchi, a guisa di cervi si consumano dentro il cor loro di dolore e di rabbia, non altrimenti che se fussero da’ propri cani sbranati. Possi dunque conchiudere vana cosa esser l’opinione delle corna nè degna d’abitare in animi gentili, poichè sono piú tosto romore di genti plebeie che cose essenziali. Voi dunque, bellissimi spiriti, spogliatevi di questa falsa opinione, se alcun ve n’è che l’abbia, e vestitevi della contraria, senza paura alcuna piú aver delle corna; massimamente ch’elle sono della natura della peste, che a chi piú ne teme piú s’attaccano. —

Quando il Marmitta ebbe finito il suo discorso, parve che ci lasciasse tutti freddi e confusi. Perciochè, volendone svellere una opinione sì antica e sì radicata nell’animo per piantarvene un’altra nuova, contraria a la prima, sarebbe stato di piú lungo ragionamento mistiero. Perchè, benchè le sue ragioni paressero