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del peso della moglie 315

quali rimirando, nè voi abbiate ad essere insolenti, nè io ingiusto. — Facciasi — rispondemmo tutti. Per che, fattomi il re cenno, ed entrati amendue in un camerino, egli dettando ed io scrivendo, in poco d’ora fûr finite l’infrascritte leggi, cioè:

Che nessuno abbi ardimento di contradire al re nelle cose giuste.

Che nessuno possa nè in parole, nè in fatti, nè in palese, nè in segreto cercar d’offender il re.

Che nessuno, per tutto lo spazio del suo regno, abbia a far romore o quistione in alcun modo.

Che non si possa ragionare in pregiudicio di persona alcuna particolare.

Che nei discorsi nessun ardisca di contradir a tre della compagnia in un tempo.

Che, nel motteggiar, non si debba offendere al vivo il compagno.

Che, nel mangiare, non si possa bere piú che tre volte.

Che non si possa bere piú d’una sorte vini, cioè o bianco o rosso, ad elezzione di chi beve.

Chiamati adunque dentro tutti e fattoci dal re un amorevole essordio, furono da me publicate le soprascritte leggi. E, questo fatto ed alquanto per le due ultime riso, fu per ciascun di noi giurato d’osservarle, non senza molta loda del re. Il quale, ciò vedendo, ne pubblicò subitamente un’altra:

Che nessuno avesse ardimento di contradir a le leggi, giá di commun consentimento approbate e col giuramento stabilite, sotto pena, da pagarsi subito da chi in essa incorresse, ad arbitrio e beneplacito del re.

E questa ancora fu approbata da tutti. Essendo dunque il desinare in ordine, lavateci le mani, il re si pose in capo di tavola, e noi tutti, con quell’ordine che egli vòlse, appresso lo seguimmo. Per che, mangiandosi con silenzio, il re, a caso, propose un problema da considerare: Qual fusse la miglior parte del convito: o il principio o il fine o il mezzo. Allora il Cesario rispose subito che ciò era il principio, perciochè allora tutti i cibi sono piú grati, essendovi piú fame, sí come anco