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Uscivo di casa dopo desinare, quando sentii da lontano chiamarmi: — O Modio, o Modio. — Rivoltomi, viddi messer Lorenzo Gambara, che, quasi dubitando di non ismarrirmi, con frettoloso passo verso me ne veniva. Per che, io, andandolo ad incontrare e salutandolo, il domandai se voleva nulla. — Sí, voglio — diss’egli; — perciochè il nostro messer Giulio da Trievi sta si male d’un piede e d’un ginocchio che gli s’è enfiato, che spasima di dolore, e mi manda a chiamarvi a posta per questo. — Andiam dunque — diss’io — chè non si può mancar al Trievi. Ma che occasione ha egli dato a questo suo male? Fate conto che in questi dí di carnevale ará fatto qualche disordine. Perciochè la podagra è figliuola di Bacco e di Venere: il sa ben egli, chè altre volte gliel’ho detto. — Anzi no — rispose il Gambara soghignando, — perchè egli è continentissimo. Sará piú tosto la sua mala fortuna, la quale, sí come in tutti gli altri beni, cosí in questi del corpo gli s’è fatta acerba matrigna. — Questo è un gran segno — risposi io — della sua bontá, poichè la sorte è come la piú parte delle donne, che s’apprendono sempre al peggio. — Con queste parole eravamo gionti alla stanza del Trievi; per che, entrati e saliti su, come egli ci vidde, cosí corse tosto ad abbracciarmi. Ed io, rivolto al Gambara: — A questo modo — dissi — correno i podagrosi? — Risposero amendue, ridendo quanto piú potevano: — A questo modo sí. Vi ci abbiamo pur còlto! — Io, non sapendo a che fine queste cose si facessero e si dicessero, e, parendomi insino allora d’esser rimasto presso che beffato: — Di grazia — dissi, — non mi tenete piú a bada, chè, per quanto posso comprendere, voi non mi avete giá còlto in cosa veruna. — Allora il Gambara, rivolto al Trievi: — Orsú — disse, — scopritegli ormai dove vi duole, chè per questo siam