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libro terzo | 305 |
monsignore, ciò stranamente, percioché, s’io avessi potuto anch’io
un poco ragionare (come a me pare che vi si chiedea), io so
bene che. quantunque la signora Ortensia, perfettissima opra di
natura, ov’ella sparse tutto il seme della vera bellezza e del vero
valore, a cui non si dee agguagliare in niuna dote dell’animo
o del corpo, niuna donna presente od antica (se non vi s’agguagliasse
nella favella dolce vie piú, che non è nè miele, nè
zucchero, nè manna quella antica e faconda tanto, di cui ella
n’ha il nome) avesse avuto da me la sentenza ed il giudicio in
favore, nondimeno l’altre le sarebbono sí state vicine nel pregio
d’amendue le bellezze, che la differenza sarebbe stata anzi poca
che no fra loro. E, per dire della mia tanto bella quanto onesta
Toronda (delle tre restanti, divine piú nel vero, che mortali donne,
in apparenza non mi ponendo ora a favellare), quale altra in tutte
quelle parti, che la donna perfettissima hanno stampata, le si
potrebbe con ragione, non dirò porre innanzi, ma pur appressare,
non che anco pareggiare?
Ora restami a dire, monsignore mio onorato, che, se vi parrá in queste mie tre notti, in questo mio sogno, e, per dire quel che piú mi piace, in questa mia bella donna, quale ella si è, ch’io non aggia osservato il decoro in tutto, e ch’io aggia ben sovente replicato quella voce «signore», massime ne’ primi dui libri, avendo potuto porre la prima lettera de’ nomi de’ gentiluomini, in quella vece loro significante, e finalmente ch’io aggia qualche cosa per inavertenza lasciato e dormito un poco, non vogliate perciò meco isdegnarvi, e cessare di difendere l’onor mio contra qualunque li si venisse (il che non posso non temere) ad opporre e farlisi allo ’ncontro; ché quale mi è venuto di potere vederlo, tale mi ha piaciuto, nulla aggiugnendo, nulla diminuendo, e nulla cangiando, di mandare e di spiegare in carte, e poi a voi consacrare e dedicare questo mio giocondo e dilettevole sogno. Adio.