Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
304 | iii - il libro della bella donna |
i begli occhi» chiara, soave, angelica, divina; e del potere, che si vede nel sonetto «Oimè il bel viso» aver avuto pure quella dell’antedetta Laura. — A queste parole molte, n’aggiunse dell’altre, e quasi infinite, continenti ed insegnanti la perfezzione della donna interiore, il signor Ladislao, tutto in ciò solo intento, e con la lingua e con l’animo poco, o piú tosto niente, segno di stanchezza o di pausa dimostrante di volere ancora dare. Alla fine, scorgendo passata essere l’ora, nella quale egli e gli altri nelle due precedenti notti solevano finire i ragionari e doppo andarsene al letto, per ultima dote, che diede alla interiore donna, le diede le lettere, delle quali ci mostrò e con essempi antichi e moderni, e con autoritati assai e con ragioni piú, s’io non erro, di mille, non altrimenti essere capaci le donne che gli uomini, anzi, s’io bene mi ricordo, ci fece vedere che ancora piú. A pena aveva tòcco la mèta il signor Ladislao, che, lui lasciato di sguardare, si rivolsero tutti a far vedere con ragioni vive, uno doppo l’altro, la sua diva avicinarsi piú alla donna; e poi drizzarono a me gli occhi, desiosi di conoscere quale delle amorose loro venisse da me per la piú bella e per la piú leggiadra, doppo tanto aspettare e doppo tanta incresciosa dimora, risolutamente giudicata. Io qui pregai loro caldamente che due parole (e ciò larghissimamente mi concessero) mi lasciassero, inanzi ch’io scendessi al giudicio ch’aveva da fare, dire sole; ed incominciai, rivoltomi al signor Giacomo, cosí: — Tale donna, quale in questo vostro realissimo, e solo degno di voi, altiero palagio è stata da voi e dai compagni formata, ha da venire, col crescer degli anni suoi, fanciulleschi ancora, signor mio caro, la vostra figliuoletta, la quale è di voi e della vostra cara ed orrevole mogliera solo bene, singolare piacere, unico conforto, speziale contentezza. Il perché voi vi avete da rallegrare, e, ringraziando il cielo di sì fatto dono, di perpetuamente gioire e di perpetuamente godervi in seno.
Tacqui a tanto. E poi, volendo incominciare a fornire il rimanente, ecco appresso a questo lasciarmi e via partirsi il sonno, nel quale, con mia non poca dolcezza e contento, aveva tutte le sovradette cose ampiamente vedute ed occhiate. M'increbbe,