al dì non mi stendessi ragionando. Ma, perché studio d’essere brieve e di non vi attediare, lascerò questo, e narrerò gli sconci, che, non per sua colpa, ma per la nostra, può di leggieri cagionare, accioché poi la donna nostra, veduti gli effetti che dalla sobrietá risultano e dal contrario di lei, con tutte le forze sue procacci di schifare l’ebbriachezza ed ogni superfluitá del bere, amando piú tosto d’essere detta sobria che ebbriaca dal mondo. Dal vino adunque, in sè buono, ove immoderatamente si bee, si cangia la mente, sorge il furore, si scuoprono i secreti dell’animo. Egli non lascia guatare il sole nascente, fa prestamente morire; quinci ’l pallore si genera, la imbecillitá, la guerra, la sfacciataggine e l’ardire di commettere ogni delitto; quinci si fanno le gote pendenti, gli occhi infermi, le mani tremanti, i sogni furiosi ed il dormire inqueto; quinci sorge la lascivia, e, pieni di fetori, mattutini rutti, l’oblivione quasi di tutte le cose e la morte della memoria. Avrá adunque riguardo la donna di non essere tanto vaga del vino, che incorresse in sì fatti errori, ne’ quali (oh vergogna degli uomini!) alcuni ben sovente si veggono incorrere tuttodí. Ella berrá con quella modestia che le si conviene e le si dice, e mai non si allontanerá della non picciola e poco lodevole virtú della mediocritá. La quale altresi ingegnerassi nel mangiare di tenere, percioché ’l troppo e superfluo mangiare ci fa smemorati, e non ci lascia pervenire a quella grandezza di corpo, alla quale perverremmo attenendoci alla mediocritá. Quanto viene a spettare alla favella, di cui non abbiamo ancora favellato, e pure ne bisogna favellare, io voglio ch’ella sia onesta sempre, e sempre piena di onore; ché, se fosse inonesta e carca di disnore, tanto si converrebbe a lei, quanto ad un bellissimo fodero una spada fatta di cattivissima tempra o piú tosto ponderoso e debole piombo. Qui mi pare non disconvenirsi quel che del piovano Arlotto mi ricorda giá d’aver letto e notato. Egli aveva veduto un giovane benissimo in arnese, il quale tanto sozzo nel parlar suo si mostrava che nulla piú. Il perché a lui rivolto: — O tu — disseti — usa parole conformi alle vesti c’hai nel dosso, o vesti conformi alle parole c’hai usato e tuttavia usi. — Oltre a ciò, ella sará (il che fu in Laura, come abbiamo nel sonetto «Quand’Amor