di essa indotto e senza si trovava, era giudicato imperito ed ignorante. Il che, come scrive Marco Tullio, avenne a Temistocle ateniese, uomo chiarissimo, il quale ricusò in un pasto la lira; ed Epaminonda, tebano schifò questa infamia, cantando, anzi suonando, divinissimamente con esso lei. La musica può acquetare gli animi furiosi, le passioni tranquillare, per grandi ch’elle si siano, e levare noi, da queste tenebre e folta aria, alla lucidissima macchina, distinta di tanti folgoranti e bellissimi lumi, che ci sovrastano, e, quasi falconiero, col logoro ci chiamano, e ci sgridano di continuo, perché a loro pervegnamo, quasi alla nostra primiera origine e descendenza, quando che sia, un giorno, tolti al sonno gravissimo che ci chiude ed opprime continuamente gli occhi di dentro. Ma a che stendermi io in loda della musica? Non sarebbe questo, adendo giá mille preso l’assunto, un portare, come è in proverbio, alberi alla selva, acque al mare, foco a foco, vasi a Samo, nottole ad Atene, crocodili ad Egitto? Non sarebbe un volere ritessere la tela dell’antica Penelope? E che farebbono poi in servigio di lei centomilla mie laudi, ch’io le dicessi di buon cuore? Per giudicio mio, nulla; peroché io mi fo a credere che essa (il che Simmaco, appresso a Macrobio, di Vergilio parlando, non tacque), sí come per maldicenza chi chi si vuole non viene a scemare ed a diminuire la sua gloria, cosí parimente per loda non viene in modo alcuno a farlasi maggiore e piú ridondante di quella, ch’ella continuo vedesi avere in ogni luogo ed in ogni stagione dell’anno appo (quasi ch’io non dissi) ogni persona ed ogni condizione di stato e di grado. — Voi averete pazienza a questa fiata, signor Ladislao! — dissero, sendo egli qui giunto, i compagni. E, perché ei non lasciasse di dire alquanto in grazia ed in onore, come aveva dissegnato di fare, della tanto, ma brievemente, da lui commendata musica, incominciâro a dannarla, come maligna e rea, che si fusse, e non di buoni e casti, ma di perversi ed impudichi effetti producitrice; e sovra ciò non pochi essempi ed autoritati, per loro facenti, allegati, fecero ch’egli incominciò cosí: — Voi dite che Alcibiade usava di dire che gli strumenti posti alla bocca, perché si sonasse, diformavano il musico; percioché, gonfiando