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286 iii - il libro della bella donna


difensore, e non le aggia pietá e compassione? A cui poscia degna non parrá d’ogni laude la figliuola di Varrone, Marzia, la quale, essendo eccellente nella scoltura e nella pittura, mai non si mise in animo di voler dipinger l’uomo, per non dipingere ancora le parti di sotto vergognose? A cui non parrá Zenobia, della quale di sopra è stato favellato, poi che pur con l’istesso marito non si congiungea se non per cagione di generare? A cui non parrá Baldacca, abietta damigella peregrina, la quale ad Otone imperadore, promettentele (ché povera era ed anzi bisognosa che no) monti, come si dice, e mari, non vòlse mai acconsentire? Ma della castitá, della quale vogliamo che tanto la donna nostra sia di continuo guardinga, basta averne detto fin qui senza andare piú oltra, e me e voi con sopra bondanti parole tediando. Ora le daremo un’altra bella parte ed un’altra bella dote dell’animo, la quale fie l’onorata vergogna, nella giovanezza lodevolissima e tanto dicevole, che viene addimandata il colore della virtú e la tintura della lode da’ savi uomini. Il che Diogene affermò, quando vide quel fanciullo tutto, per rossore e vergogna, nel viso divenuto vermiglio e colorito. E qual donna troverete voi di buon nome per gli scrittori, a cui non abbiano essi, come ottimo segno, conceduto la vergogna? Vergilio induce Lavinia vergognosa nel decimosecondo della sua Eneide; Aconzio appresso Ovidio e Cidippe; il medesimo Ovidio, al terzo delle sue Trasformazioni, Diana; al quarto, Andromeda; al sesto, Filomena; al settimo, Procri; Tibullo...; ma lasciamolo ora. L’Ariosto induce Angelica legata all’ignudo scoglio, e lá dove l’eremita le pose arditamente le mani in seno, e poi Bradamante e Marfisa, quando videro Ullania in terra sì male in arnese. Il Bembo, appresso gli Asolani, induce e Lisa e Sabinetta e madama Berenice e quella damigella, che, concordando la voce sua al suono della viuola, cantò la vaga canzonetta «Amor, la tua virtude». Il Sannazaro induce Amaranta nell’Arcadia, dove la rossezza venutale nel volto chiamò «donnesca», come Tibullo ancora «virginea»; peroché in vero, s’ella non si trova, nelle vergini, vi dee trovare ed essere con ragione almeno e con debito. Il perché Apuleio, nel primo del suo Asino d’oro, anco chia-