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libro terzo 285


infino che da uno empio e crudelissimo di quei soldati, che rapita l’avevano, non fu colla spada dall’uno all’altro lato trafitta e miseramente morta. Mi resta ancora un altro essempio di dire, il quale è che, sendo stata la perfida Rosmunda (quella che potè tradire e dare la cittá di Cividale in mano di Catanno, re degli ungari, di cui ella n’era invaghita) in su un palo affissa, poiché di lei fu fatto ogni scherno, restarono due sue figlie, il cui nome era Appa e Giala. Queste, essendo giá cresciute vergini, e cosí di rara beltá come d’onesto rossore dotate, trassero a sè gli occhi di tutti incontanente; ma, dubitando elleno del suo onore, si posero in seno fra le mamelle (oh, potenza della laude e del pregio!) crudi pulcini, perché putrefatti venissero a discacciare da loro qualunque si volesse appressare, col fetore e con lo estrano puzzo suo. Cosí diedero un memorabile, e vero, essempio di conservare intatta e sincera la pudicizia alle verginelle, e piú nostre che d’altrui. Ora, se per salvare l’onor suo non hanno avuto cura della vita queste e dell’altre infinite, qual di noi è che non abbia pianto appresso Ovidio, al sesto delle Trasformazioni , con Filomena, stuprata a forza dal crudele cognato? Qual di noi è che non abbia avuto compassione e lagrimato con la sventurata Didone appresso Virgilio, al quarto, dove nelle caldissime preghiere e chiusa per fare seco star Enea, sí che non parta da lei, dice che per lui ha perduta la castitá e quel bel nome, per cui solo n’andava a volo infino alle stelle? Ma queste sono favole. Qual di noi è ch’abbia tenuti gli occhi asciutti leggendo le amorose narrazioni di Plutarco, dove egli pone che, sendo per forza due sorelle svergognate da due, e stando esse oltra misura (come quelle che giudicavano di aver troppo perduto, avendo l’onore perduto) malinconiche ed addolorate, furono alla fine dai corrottori in un pozzo per ciò precipitate e sepolte? Qual di noi è che, leggendo appresso il Lando di quel suo molto intrinseco amico, che per opra d’un servidore, non potendo altrimenti, venne a godere delle rare bellezze d’una fanciulla padovana, che sempre gli era stata dura, non curando nè caldi prieghi nè larghe offerte, venne a godere, dico, al suo dispetto, non bestemmi a pieno lui, e della donzella non divenga tutto