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de la bella creanza de le donne 23


Raffaella. Fidati di me, ché chi lo dice non se ne intende. Però, se farai a mio modo, non userai se non acque, le migliori che potrai trovare, ed in quelle spenderai quanto puoi.

Margarita. Giá uso adesso un’acqua che è tenuta buonissima.

Raffaella. Che acqua?

Margarita. Non vi so dire, ma me la vende uno spezial che sta a le Costarelle, e non me n’ha voluto mai dar la ricetta.

Raffaella. T’intendo. So che acqua ch’ella è, ché ne vende a molte; ché quasi tutte oggi usano di cotesta, per essere di non molta spesa (e non solo le donne, ma molti ancor di questi gioveni effeminati, che piú meritavano di nascer donne che uomini): nella qual acqua entra malvagia, aceto bianco, mèle, fior de’ gigli, fagioli freschi, verderame, argento sodo, salgemme, salvetro, allume scagliuolo e zuccarino, ogni cosa distillata per campana. Ed è in vero assai buona acqua, ma per acque divine non cederei a persona del mondo, e massime d’una, che è in vero di grande spesa, ma eccellentissima molto.

Margarita. Di grazia, ditemela, madonna Raffaella.

Raffaella. In ogni modo non m’intenderesti. Basta che io te ne farò ogni volta che vorrai, e fará le carni in un tempo chiare, bianche e morbide quanto piú si possa.

Margarita. Voglio che mi diciate la ricetta brevemente.

Raffaella. Io piglio prima un paro di piccioni smembrati, dipoi termentina viniziana, fior di gigli, uova fresche, mèle, chioccioline marine, perle macinate e canfora; e tutte queste cose incorporo insieme, e mettole dentro ai piccioni e in boccia di vetro a lento fuoco. Dipoi piglio musco ed ambra e piú perle e pannelle d’argento, e, macinate queste ultime cose al porfido sottilmente, le metto in un botton di panno lino, e legole al naso de la boccia con recipiente sotto, e dipoi tengo l’acqua al sereno; e diviene un cosa rarissima.

Margarita. Io non v’ho cosí bene intesa.

Raffaella. Te lo credo. Ma non te ne curare, perché te ne farò io sempre che ne vorrai, e t’insegnerò a usarla.