268 |
iii - il libro della bella donna |
|
bella occasione e scopertosi un bell’agio, egli ferí Adone ed ucciselo. E, correndo Venere per dargli aita, cosí frettolosa, venne a cadere in un cespuglio di spini fioriti, e, foratosi l’un de’ piedi, col sangue che d’indi usciva fece che la rosa divenne colorita; e cosí, dove in prima era candida, cangiossi in purpurea e vermiglia. Concedendo adunque (come ben si conviene) queste rose, fiori e viole, delle quali i giardini di Pesto vanno cosí spesso ornati, alla donna nostra, non le concederemo ancora una delle tre palle d’oro d’Atalanta? Un pomo, dico, quale fu quello, onde beffata rimase Cidippe? E quali erano quelli degli orti delle Esperidi? E quelli del fortunato e felice re Alcinoo? E quello finalmente, che pose gara tra le dive, delle quali abbiamo piú suso ragionato a sofficienza? Sí, le concederemo in ogni modo: e perché sono di odore convenevole, e perché non sono rea cosa i pomi, de’ quali alcuna gente vive, e alcuna del solo odore. Il che è pur miracoloso ad udire; ma noi n’abbiamo il Petrarca nel sonetto «Sí come eterna vita è veder Dio», e nella canzone «Ben mi credea passar», e nel Dialogo, di sopra allegato, del buono e soave odore; noi abbiamo Plinio al secondo capitolo del settimo libro della sua Naturale istoria; n’abbiamo Solino, e gli altri, che ciò si confermano per vero. L’istoria è tale: che lá sul Gange, in India, sono certi popoli, nomati «astomi», senza bocca, pelosi per tutto il corpo e vestiti di non so che, che in su le frondi degli alberi truovano in quelle parti. Questi, senza altro mangiare (il che non potrebbono, s’eglino ben volessero) si nutriscono del solo odore, che spirano certi pomi che seco portano. Quando sono per ire in peregrinaggio, nulla recano con seco salvo che gli antedetti pomi vitali; e sono cosí impazienti del fetore e del puzzo, che, sí come il puro odore gli nutrisce, cosí il tristo gli ammazza. Questo mi è piaciuto di dire alla presenza vostra — soggiunse poi — e per dimostrare che buoni sono i pomi (il che io averei potuto a mille altre fogge mostrarvi) e perché io qui scoprissi l’errore d’alcuni, e massime del Bonfadio, lá in quella epistola che nel secondo delle Volgari di vari autori accolti scrive a messer Plinio Tomasello. Egli dice insomma, che, se alcuni hanno detto che in certa parte del mondo sono