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256 iii - il libro della bella donna


di Cartagine disse l’istorico) tacere di loro che dirne poco: pure non mi rimarrò per ciò, che io non dica che elle debbono essere morbidette, lascive, tremanti e piene di tutto quel bello che in somma e perfetta bellezza le ponno ridurre, e tali alla fine che vi si possa pensare, non dalle mani di Fidia o di Lisippo, famosissimi scoltori, ma da quelle della natura solo, in ciò vie piú dotta di alcun di loro quando ella vuole, essere sute fatte ed uscite. — Fermossi qui alquanto il signor Giacomo; poscia disciolse di nuovo la lingua in queste parole: — Giá s’incomincia a vedere la méta, dove io ho d’arrivare correndo, alla quale poiché io pur sono vicino, egli non mi bisogna cessare dal corso, ma piú tosto affrettarmi piú. Il perché dico che le gambe, alle quali cosí partitamente ragionando mi trovo d’essere giunto, denno trovarsi in quella guisa formate in questa donna, nella quale vi si vede una marmorea colonna, cioè rotonde in lungo e non altramente; cosí Orazio vuole in una donna nel secondo de’ suoi Carmi, il quale non pare che in un bel fanciullo le rifiuti lá nell’Epodo ancora. Se cosí vi si vedranno, appariranno anzi molli, delicate, succose che no, e conseguentemente fieno belle e riguardevoli. Biasima, nel suo Moreto, Vergilio le gambe in Cibale, di cui è stato di sopra detto, sottili ed ossute, e poi la pianta ancora larga e spaziosa de’ piedi. Ai quali scendendo, voglio che nella donna nostra bianchi, come quelli di Tetide, si veggano, alla quale d’ariento gli dá Omero, e di neve Stazio per la eccessiva loro candidezza. Voglio, per ispedirmene in una parola, ch’ella tali gli abbia quali in Alcina commenda l’Ariosto, cioè brievi, asciutti e rotondetti. — Qui si rattenne e tacque il signor Giacomo, fine a un tratto e al suo ragionare ed alla donna esteriore imponendo. Ma, dubitando noi di qualche imperfezzione ed opposizione che le si potesse fare, incominciammo tutti a minutissimamente e diligentissimamente adocchiarla. E, mentre in ciò fummo occupati e spendemmo tempo assai, non potè far il signor Pietro che non usasse queste parole e, levato in piedi, non parlasse cosí: — Leggesí che Zeusi pittore, avendo dipinto Elena, come di sopra v’è stato detto, non stette ad aspettare il giudicio altrui, ma subito disse: — Non è cosa disconvenevole e vergognosa ai troiani, e manco ai greci, per