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238 iii - il libro della bella donna


belle donne, cioè la crudeltá, e non attribuirlo a quella donna, da cui esso ogni imperfezzione voleva essere lontanissima. Cosí detto, si mise a seguire, soggiungendo: — Poiché ho dimostrato gli occhi di questa donna dovere essere neri, non erranti e pietosi al guardo, io voglio anco che sieno luminosi e sfavillanti in guisa, che contendere con le chiarissime stelle, nel limpidissimo e serenissimo cielo scintillanti, possano senza vergogna niuna. Tali erano quelli di Dafne fuggitiva; tali quelli di Narciso, come ci scopre Ovidio; tali quelli di Laura, come ci mostra ’l Petrarca nel sonetto «Amor ed io sí pien di meraviglia»; e in quello «Quel sempre acerbo» e in altri luoghi assai; tali quelli di Amaranta presso al Sannazaro; tali quelli di Anzia, bella innamorata di messer Tito Strozza, il padre, presso al primo libro de’ suoi Amori, tali quei di Sulpizia presso a Tibullo al quarto libro; tali quei di Cinzia presso a Properzio al secondo. L’Ariosto in Alcina paragona gli occhi di lei iperbolicamente al sole; il che veggio aver fatto il Petrarca ne’ sonetti «Qual ventura mi fu» e «I’ vidi in terra». Ma in questo vien piú tosto a preferirgli al sole, che altrimenti, dicendo: «C’han fatto mille volte invidia al Sole». Le palpebre fieno degna casa di loro, cioè belle a meraviglia. Le ciglia nere come indiano ébeno, e tranquille anzi che no; cosa che mostra il Petrarca aver avuto Laura ne’ sopra allegati suoi due sonetti. Le sovraciglie poi, chiamate «archi» dall’Ariosto, saranno negrissime, sottilissime e minutissime. Ma tempo è ch’io venga alla fronte della donna, la quale, senza ch’io mi stia troppo ad intricare in parole, sia larga, alta, lucida e piena di divine bellezze e, brievemente, tale, quale il Petrarca vuole essere stata quella di Laura nel sonetto «Onde tolse Amor l’oro», e quella della sua amorosa nel secondo libro de’ suoi Amori lo Strozzi, il figlio. — Giá pagato il debito e sodisfatto alla promessa, aggiunse poi al suo ragionare queste quattro parolette il signor Vinciguerra: — Onestissima cosa pare a me, e tanto giusta del mondo, ch’abbia ad essere questa, onoratissimi signori, che, avendo io mostro quali occhi e qual fronte si richiegga a questa donna, voi non vi lagniate in guisa niuna se io le agguaglierò gli occhi