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226 iii - il libro della bella donna


e farsi maggiore il bisbiglio fra noi, incominciò a dire cosí: — A me parrebbe, signori e fratelli, che, avendo a trapassare noi le future tre notti, che qui siamo per fare, in dolci e soavi ragionamenti, come ci cennò nell’invitarci a questo luogo il mio caro e buon cognato, noi fussimo contenti di formare una donna tale, quale forse non si vide giamai, cioè bella a perfezzione, e che manchi d’ogni opposizione che le si potrebbe fare; cosa nel vero pur da parlarne tra noi e degna di nostri ragionamenti. E chi alla fine verrá a dimostrare piú alla costei beltá le ricchezze e le bellezze della sua diva avvicinarsi che di qualunque altra, questi aggia vinto e tengasi per fermo lui aver la piú bella delle nostre donne, che a gara lodiamo e ci sforziamo ciascuno per sè di farnele rimanere le piú belle e le piú vaghe. — Surse a queste parole il signor dottore, e disse: — Bella immaginazione è suta questa del signor Pietro, ma cosí ancora io le nostre liti chetate non veggio; percioché, se non vi si fa un giudice, il quale abbia a giudicare chi piú di bellezza avvicinantesi a questa donna, ch’abbiamo a formare, scopra ritrovarsi nella sua, io veggio nel pensiero indeterminata sentenza, e potremmo centomil’anni contendere cosí, che mai non ne verremmo a capo. Perché chi non sa ch’io non cederei che voi e voi, e questi e questi (non vi sendo chi giudichi) avesse mostro starsi nell’idolo suo piú di bello e vago, simile a quello di questa madonna, che io nel mio veramente divino? Sí che sarebbe ben fatto che tra noi vi si elegesse uno il quale pigliasse questo peso, e, invece di ragionare, avesse a giudicare. — Ciò detto, tacque l’eccellente dottore. Allora io fui (la loro buona mercè) eletto giudice, ma non mica senza questa condizione, che, non potendo io in mia persona celebrare la mia novella signora, la signora Lucrezia Toronda, e da lei tôrre quel bello, che mille, non che una donna, potrebbe perfettamente far belle, altri in mio luogo avesse ad essercitare questo ufficio e questa impresa. Mentre adunque ch’io mirassi in faccia di loro ognuno, per vedere qual si levasse per me e si volesse affaticare per far chiaro che la mia gentilissima Lucrezia, stupor della natura ed onor del secol nostro, fusse la piú bella e che piú si assomiglierebbe alla donna che si dovea