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pena 197


altro non vi dico, perché non fugge, salvo le tenebre, per essere veduta senza vergogna, con fimbriati panni, con vuolto lisciato e petto pieno di lascivia, come sapete. Nondimeno, ancora che la vostra consorte fosse piú orrenda della morte, fosse piú nemica de l’uomo del basalisco, sei sforciato di chiamarla per nome (dico proprio nome, e non alieno), accomodandoli li sua epiteti, perché cosí li mostrerai perfetto amore, grande benevolenza, l’incomprensibile affezzione e tenerezza di animo, la quale la esorta che voi solo abbia amare, voi solo abbia oservare, voi solo abbia avere per il piú caro. Deh, nome virtuoso, nome potente, nome di grande efficacia! Deh, nome, quanto debbi essere caroalli concordi nel matrimonio! Nome, deh, nome, quanto debbi esser celebrato al mondo fra maritati! Perciò voi, o maritati, abbiate a caro il nome della vostra consorte, perché la vostra sorte è egli di lei. Perciò ragionate di ella, perciò scrivete di lei, perciò cantate di ella, perciò v’imaginate; il che facendo, viverete di me piú lieti, di me piú constanti nella sua benevolenzia, perché non forse la trovarete de natura della mia, la quale nelli dua passati ragionamenti avete conosciuto. Né perciò crederete ch’io non la chiamassi col proprio nome, per ubedire al savio vecchio; di sorte che la chiamava lusingando: — Iulia mia, cor mio, amor mio, bene mio, anima mia, conforto mio, speranza mia, dolce mio riposo, mia speme, aura suave al mio affannato cuore, summo ristoro delle mie deboli forze, unico inio spasso, angelica vista — finalmente, — in questa vita mio paradiso! — di sorte che, e vegliando e setandomi dal sonno, sempre il suo nome in bocca avea. Con tutto ciò, per mia sciagura, per mio tormento, per mia scontentezza, rare volte omai la mia voluntá li piaceva nè la deletava, passati che fòro li dua lustri. Imperò non so se alli cieli, overo a’ fati, overo alla mia disanventura ciò debbo ascrivere, li quali me mutavano di riposso in affanno, di quiete in travaglio, e di contentezza in sconsolazione, mentre che ella visse. Di sorte non mi giova la dottrina di Socrate, non li documenti di Pitagora, non la eloquenzia di Demostene nè di Cicerone, nè ancora le umili prece, accioché si ricordasse de l’amor coniugale, atento che solo amore,