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192 ii - angoscia doglia e pena



Socrate. Un macinar a tempo.

Biondo. Nella piú bella etá, overo nel piú fiorito tempo della mia vita, quando ogni mio succo, essendo verde, aveva la magior possanza che l’uomo deve avere in questa scorza terrena, cominciai stentare a guisa di uno molinaio: perciò lamentarmi conviene. E de chi, sássel colei che fu cagion di ogni mio lamento; per cui oggi ancora la mia vita pena e stenta, a sembianza del ladro mollinaio. Sí che, se sconsolato me vedete, o maritati, adviene per ciò, sapiate, che ’l lume mio amoroso giá, anzi la sustanzia degli ochi miei, ha portato con sè colei che, involta nel doloroso velo, non piú con me, ma contende con la terra; ed a me fa cangiare ogni di il pelo, racordandomi della mia stenta, piú aspra d’uno molinaio, fatta nel tempo che ella viveva. Perciò dura legge fu di Socrate, perché, ancora che ambidua siano di uno e dil medesimo volere, non mai possono essere síconcordi, che ogni cosa di voluntá di tutti dua venga osservare un medesimo tempo, come si vede in piú maritati. Pertanto non so se dil tempo, che fugge piú d’una frezza da l’arco, mi debbio dolere, overo di me stesso, che nel macinare non sapea concordarmi con la mia sorte. Non so perciò a che modo vòle il savio vecchio che ’l mio maestro intenda il macinare essere cosa di maritati, salvo non voglia usar al presente qualche metafora; overo voglia dire, per essempio, che, cosí come il macinar consta da doi ruote di marmo gravissimo, nondimeno, volgendosi a tempo per forza del corso di l’acqua, fanno diventar il grano tritissima polve, e ciò in ésca umana; cosí ancora intendo che voglia inferire il detto vecchio che, ancora che ’l marito sia greve e moglie ponderosa, cioè uno abbia un volere e l’altro diverso disio dal compagno, nondimeno non mai fanno la bella prole nè crescimento di robba, salvo quando si concordano. Pertanto, studiando gli anni passati dal mille e cinque con vintidua sopra cento, persino a tre sopra quaranta