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PENA
terza furia del mondo
PROEMIO
Quella parte celeste, che in me si trova, non cessa di solecitarme che io me unisca piú tosto al cielo che alla donna, fuoco umano e spoglia d’ogni bene. Perciò, quando li spiriti miei uniti possano alquanto, la virtú de l’anima mia me cita dinanzi alla contemplazione, dove si affina l’intelletto umano, come l’oro nel fuoco, rappresentando l’aspetto d’un vero dolore, di continua paura e di eterno orrore: ed è la donna, che nè morte, nè teme la ragione, anzi venze con ira e sdegni ogni gran tormento. Imperò chi non ha pazienzia, overo non si sa moderare nelle tentazioni umane, presto manca, percioché ha in odio la propria vita. Cosí trapassando il mio tempo, in quante pene, in quanti guai e fiamma ardente vissi e vivo, accompagnato di una arpia, giá i uceli de l’aria, i pessi del mare, non che l’umana generazione, il sanno! Perciò quante feste, quanti solazi sprezai di vedere per causa di una donna, che altro non pensava che dannarme. Perché sappiate che non trovo via nè arti per ridure al porto el mio infelice lembo; nè le giuste querelle mi giovano, perché la mia donna ha il melle amaro da ogni canto: sí che credetimi che nè giovene, nè vechio i’ son avezo al fele, nè ancora al melle, percioché la sua falsa dolzezza talvolta me consuma e talvolta me preme, e, benché mi trovo nel duello, me pare di avere contra me una gran schiera di sua inganni. Pertanto nè solevarme posso da terra, nè trovo pace nè fine alla mia guerra; sí che di me istesso non ho piú cura, perché