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ii - angoscia doglia e pena |
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congiurazione verso il Biondo, per averlo giorno in compagnia
ad una, che con la vista l’amorba di lontano! Perciò, se, stando
appresso, l’atosica mortalmente, non è da meravigliarsi! — Ma,
tornando al principio della conclusione, i professori della umanitá
dicono che «o» gli è littera vocale; afermano ancora che
«o» gli è la voce admirativa ed è parola di desiderio; «o» gli
è voce de chi chiama; finalmente gli è il son di esclamazione,
come si vede in questo loco. Percioché il savio vecchio esclama,
dopo tante diffinizioni, che ha fatto della donna secondo l’ordine
della natura. Dalle quali comprendo che essa è morbo, e non
salute nostra, percioché con esclamazione vi esorta tutti che,
non credendo a lei, ciascuno da essa debbia fuggire, perché dalla
furia si fugge e dal fausto e vanagloria, perché è cosa odiosa.
Il fettore d’una palude gli è cosa orribile; il conversare con
serpenti è natura di crudele; false parole son veneno a gente
pura; l’astuzia volpina è atto d’ingannare, perciò si vitupera;
inganno e lusuria son le proprietá di quelli che moreno col
corpo insieme; essere acuto, come un spino, gli è di avere natura
di mordace; l’essere incostante è segno di pazzia; dispreciare
l’onore gli è essere d’animo vile; cedere a l’apetito gli
è l’atto di lussuriosi; essere instabile gli è argumento di leggerezza;
essere falace gli è la proprietá d’inganatore; esser vano
e giattabondo è di non servar fede e di non conoscere la ragione;
ed avere la natura di fuoco gli è l’atto e disposizione di
consumare ciò che manegia. Pertanto, essendo la donna nostro
consumamento, il savio vecchio, cridando ad alta voce, ne esorta
che da essa abbiamo da fuggire. Ma, accioché non paia che
questo fuggire si faccia senza alcuna causa, dice ad alta voce
che premio ha chi fugge la donna, propria consumazione: ed è
la felicitá, la quale per natura ciascuno disia e brama. Percioché
si conossa quel che si disia, ed acciò piú perfettamente si
debbia disiare, dichiarovi che cosa è felicitá, ed esser felice.
Dicono i savi «felicitá» essere la prosperitá, la qual dagli antichi
era fatta dea, e da’ romani ancora era onorata. Ma il
gran peripatetico disse «felicitá essere una certa operazione di
l’anima, per mezo di perfetta virtú». Altrimente «felicitá» gli è