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doglia 149



Socrate.

Socrate. Falace e vana, inimica di fede,
suave fuoco a consumar l’amante.
Oh, felice colui che non gli crede!


Biondo. Vedendo giá tacito e pieno di gran dolore il mio maestro, e volendo il savio vecchio perfettamente satisfarli, mosso alfine da se medesimo, li dichiara le sue proprietá, dicendo: — La donna è falace. — Cioè che per natura possedè la falazia, ed è la proprietá d’un vero sofista, overo d’un uomo doppio. Perché «falace» altro non vòl dire che pieno di modi ed arte d’ingannare quanto aspetta, a chi è falace, e non al suo compagno: nè per questo dirai essere falace chi per l’ignoranza se stesso inganna, ma dirai falace colui che sta in su l’inganno. Il che altro non vòi dire che «pieno di falsitá». E, perché la donna, mentre che dorme o veglia, tace overo favela, studia all’inganno, perciò se dice «fallace», volendo scoprire la sua malignitá onestamente. Per che, avendo detto Socrate quanto si possa dire del fatto della donna, per concludere il suo ragionamento, el dice che, ragionando con ella, tu devi intendere le sue parole per contrario; percioché colui è fallace che una cosa dice e l’altra fa. Sí che, dolce mio lettore, sappi che la fallazia e l’inganno, che procede dalla voluntá, è piú grave di quel inganno che nasce dalla infirmitá. Pertanto la donna doppia e falsa chiamarai «fallace», perché, dove tu trovi il contrario della veritá, ivi giudicarai essere la falsitá. Imperò falsa è colei che per contrario espone alcuna cosa. Perciò dirai la falsitá essere vizio d’intelletto, sí che la donna, essendo tale studiosamente, è fallace ed è falsa. Imperò, savio lettore, fuggi da lei lontano. È «vana», cioè si spassa nelli piaceri pacescamente; overo è vana, perché si avanta di quelle cose che non son sue; è vana,