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doglia 123
Imperoché la furia è una de li gran furori d’inferno, il che gli è cosa orrenda di udire non che di conversar seco, percioché la furia in noi altro non inspira che mortalissimo furore, non tanto al corpo, ma ancora all’anima bellissima. Sí che, per intendere il detto di Socrate, convien che intendiamo che cosa è l’inferno, ancora che sia cosa vulgare di ragionar omai d’inferno, per essere noto giá insino alle piante. Nondimeno dirò de l’inferno, solo per dichiarare che cosa è «furia infernale», a cui è assimigliata donna, accioché s’intenda quanto disse il savio vecchio, rispondendo al mio maestro, dicendo che la donna è «furia proterva»; perché cosí meglio intenderete quello che vuole dire il savio Socrate. Perciò dicono i piú scelti che «protervo» è colui che col suo cubito e senza vergogna percote colui che incontra; overo «protervo» è chiamato colui che vuol che gli sia fatto il loco per la sua ingiuria. Il che mi pare conveniente titolo alla furia d’inferno ed ancora alla donna. Imperò dittemi voi, lascivi e parziali della donna, chi non percote la malvagia e furiosa, overo dove non vuole che non gli sia dato il loco per la sua ingiuria. Per il che, essendo la donna essa furia, non è gran meraviglia che sia proterva. Ma, ritornando all’inferno, dirò che l’inferno gli è un loco orrido e tenebroso, loco destinato alle pene nostre, loco di perdizione, ed è l’inferno un loco che mai si impie nè si satola, come gli occhi de l’uomo. Perciò avete a sapere che per tutto si dice che vi sonno tre cose al mondo che mai se saziano: e la prima cosa è l’inferno, la seconda è la donna, la terza è la terra, che mai potrá vedersi sattóla d’acqua, come ancora non si vede il fuoco mai esser sazio di legne. Pertanto, volendo satisfare il savio vecchio alla dimanda del mio maestro, dice che non basta alla donna solo essere furia infernale, ma ancora va «carca di fausto», cioè di vanagloria. Perciò mi pare che si possa dire senza alcun rispetto, e ciò per supplimento di sua dichiarazione, che la donna è furiosa, è vanagloriosa senza fine. Imperò, essendo la donna carca di fausto overo di vanagloria, discorreremo se la vanagloria è vizio overo virtú, perché cosí si saperá se la donna è animale come gli altri uomini o no. Sí che sappiate voi, ciechi d’amore, che ’l fausto,