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120 ii - angoscia doglia e pena


Pertanto, essendo constretto di ubedire alla natura l’animo stanco e carco di pensieri, da novo fu consperso il corpo d’un grave sonno, come de l’acqua che amorza il foco. E cosí, nel sonno, mi pareva vedere di volare uceli col tempo, che aveano scritto di sopra le ali: «Affanni, affanni del mondo». Il che vedendo, sonava in mezzo il mio core quella parola: — Donna, donna fastidiosa; — nè mi pareva che ciò fusse il mio concetto, ma di quelli che il dì innanzi m’erano apparsi, ragionando della mia donna; il che avete udito nella passata mia contemplazione. Sí che, tra sonno e veglia, mi apparveno li detti Nifo e Socrate un’altra volta, pure ragionando de la mia donna, ed io pur stava appoggiato di sopra il medesimo marmo, dove era sculpita la imagine di tutti dua. E, finito che ebbeno il suo ragionamento, di nuovo mi comandorno che dovesse seguire la mia impresa. Pertanto, non per mostrarvi cosa nuova, ma per ridurvi in memoria quel che avete posto in oblio, vi scrivo sopra questo secondo ragionamento, accioché chi non crederá alla sua donna si possa chiamar felice.