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DOGLIA

la seconda furia del mondo

PROEMIO

Altissimo Signore Iddio, sotto l’imperio di cui vi sta l’universo, a cui si li spiriti celesti come gli animali terrestri ubediscono, pentito, dolente e tristo di miei giorni, settimane, mesi ed anni mal spesi in questo carcere terreno, ricorro a te per aiuto e per favore, perché altamente son perso e morto senza il tuo soccorso. Perché in sí longo strazio della mia donna, che non solo mi punge la carne, ma ancora mi rode il core giá consumato, me trovo di dolce libertá ridutto al stato amaro. Sí che, Signor pio, Signor benigno, Signor grazioso, a te me ricomando, perché dal dí ch’io intrai in laccio giugale insino al presente giorno, sonno scorsi anni tre volte del numero di piaghe vostre, ed altritanti mesi, con alquanti giorni, con tutto ch’io me truovo nella ettá di quatro dieci anni. Nondimeno con tutto ciò, Signor mio, vi ringrazio, perché son certo che tu vuoi che l’uomo diventa piú perfetto negli affanni, non derogando perciò a te cosa alcuna. Stanco e sazio del fastidio della mia donna, riprendo me istesso di errore che feci, ne l’intrare della amarissima servitú, da la quale non coglio altro frutto ch’infamia, morte, angoscia e pianti, come giá mi annunziò il vecchio e savio Socrate. Pertanto mi pare che ’l seme d’ogni virtú da me sia giá spento, sí che, Signor mio, volinteri omai a te renderei l’anima; ma, se pure tu vòi che in mezo gli affanni spenda il tempo cercando pace, son per ubedirvi, pure ch’alfine sia salvo del danno eterno.