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112 ii - angoscia doglia e pena


la legge di Solone, la qual voleva che chi fosse preso in adulterio, di morte fosse punito. E quell’altro voleva che al ruffiano ed adultero solamente gli occhi fosseno cavati. Pertanto chi se ricorda del latto di antichi, trovará fra gli altri qualmente Aiace, per cagion di Cassandra, fu infame. Serse oggi ancora è infame, perché, per satisfare alla donna, premiava quelli che trovavano nuovo modo di lussuriare. E, benché si leggano molti essempi di crudeltá di Nerone e di molti altri, nondimeno per la gran prattica di donne non meno è stato infame che per le altre sue sceleraggine. Ma, accioché siate piú satisfatti del valore del frutto vostro, dirovi quel che io truovo scrittto appresso gli antichi di questa infamia. Pertanto Virgilio, parlando di fama, dice: «la fama è cosa cattiva, di cui non si truova cosa piú veloce. » Che dirò perciò della infamia, di cui non truovo cosa piú ignobile, nè chi acquista piú debil forze, andando, della infamia? Ed è egli come la fama; nel principio piccina, poscia asconde il capo sopra nebbia, pure caminando per terra. Imperò vi dico che la infamia è un monstro orrendo e grande, il quale quanti ligamenti, overo liniamenti, ha nel suo corpo, ha tante lingue ancora, tante bocche ed orecchie senza numero; di sorte l’infamia spaventa le grande e le cittá potenti, quando col vero e quando col falso. E quel dotto sulmontino, volendo parlar di fama, descrive il suo albergo e narra le sue proprietá, spezialmente conveniente a lei; perciò, come cosa non fuori del nostro proposito, son per narrarvi. Egli ha un luoco fra mezzo il mare e la terra, dove si vede quel che non si truova al mondo, talché nascono indi diverse voci, che ascendeno sino al cielo; e detto albergo è posto sopra un colle eccelso, ed ha infiniti riposti, ed a ciascuno natura ha fatti mille buchi senza le porte; ed il detto albergo è fatto di rame, perciò sempre rumoreggia, ribombando di voce orrenda, quel medesimo rinovando infinite volte; come fa la donna mia, per darmi maggior pena. Non vi è riposso in quel luoco nè alcun silenzio; nè perciò ha voce alta, ma sussuri e murmure infinito. Li estremi di quel luoco sempre tuonano, la sala fusca, dove vanno errando le cose false, mescolate con le vere, romori a migliara