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ii - angoscia doglia e pena |
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la legge di Solone, la qual voleva che chi fosse preso in adulterio,
di morte fosse punito. E quell’altro voleva che al ruffiano
ed adultero solamente gli occhi fosseno cavati. Pertanto chi se
ricorda del latto di antichi, trovará fra gli altri qualmente Aiace,
per cagion di Cassandra, fu infame. Serse oggi ancora è infame,
perché, per satisfare alla donna, premiava quelli che trovavano
nuovo modo di lussuriare. E, benché si leggano molti essempi
di crudeltá di Nerone e di molti altri, nondimeno per la gran
prattica di donne non meno è stato infame che per le altre sue
sceleraggine. Ma, accioché siate piú satisfatti del valore del
frutto vostro, dirovi quel che io truovo scrittto appresso gli
antichi di questa infamia. Pertanto Virgilio, parlando di fama,
dice: «la fama è cosa cattiva, di cui non si truova cosa piú veloce.
» Che dirò perciò della infamia, di cui non truovo cosa
piú ignobile, nè chi acquista piú debil forze, andando, della
infamia? Ed è egli come la fama; nel principio piccina, poscia
asconde il capo sopra nebbia, pure caminando per terra. Imperò
vi dico che la infamia è un monstro orrendo e grande,
il quale quanti ligamenti, overo liniamenti, ha nel suo corpo,
ha tante lingue ancora, tante bocche ed orecchie senza numero;
di sorte l’infamia spaventa le grande e le cittá potenti, quando
col vero e quando col falso. E quel dotto sulmontino, volendo
parlar di fama, descrive il suo albergo e narra le sue proprietá,
spezialmente conveniente a lei; perciò, come cosa non fuori del
nostro proposito, son per narrarvi. Egli ha un luoco fra mezzo
il mare e la terra, dove si vede quel che non si truova al
mondo, talché nascono indi diverse voci, che ascendeno sino
al cielo; e detto albergo è posto sopra un colle eccelso, ed ha
infiniti riposti, ed a ciascuno natura ha fatti mille buchi senza
le porte; ed il detto albergo è fatto di rame, perciò sempre
rumoreggia, ribombando di voce orrenda, quel medesimo rinovando
infinite volte; come fa la donna mia, per darmi maggior
pena. Non vi è riposso in quel luoco nè alcun silenzio; nè
perciò ha voce alta, ma sussuri e murmure infinito. Li estremi
di quel luoco sempre tuonano, la sala fusca, dove vanno errando
le cose false, mescolate con le vere, romori a migliara