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ii - angoscia doglia e pena |
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sappete il fatto di Circe, di Elena, di Ippomene, della madre
di Nerone, di Rodope egizzia, di Tais ateniese, di Lais corinzia,
di Fioria, di Niceta ed Aquilina sorelle, di Afra candiota, di
Aspasia, di Filene, di Manlia, Anticira, Armia ed infinite altre
barbare, greche e latine donne lascive, che con le dette arme
hanno amazzati infiniti, e stroppiati senza numero. Sí che, se ’l
vi è alcuna donna in Italia o fuori, che adopra simili arme,
voi sappete. Perciò, o giovani volunturosi, guardative da tal arme,
perché vi guardarete dalla insanabil piaga e dalla morte. E, se
di questo non avete altro essempio, guardate a me solo, quando
passo per la strada, che son piú morto che vivo, perché continuamente
si rinova la mia piaga, dalla mia donna non giá,
ma dal mortalissimo mio nemico, senza quelli colpi che io ricevo
mentre che io vo per le mie devozioni. Perciò non mai mi posso
armar sí perfettamente, che io non ritorno a casa senza insegna
e disarmato, ed impiagato di nuovi e mortalissimi colpi. E, se
per sorte corro ad alcuna donna per aiuto, sempre da lei piú
crudelmente son stracciato. Sí che qualunque di voi disia ed ama
di vivere senza pene e senza guai, fuggia, fuggia li spettacoli
e le indulgenze, le devozioni de visitare, quando son frequentate
da esse donne. Perché oggi le donne frequentano i detti luoghi
non per fare orazione, ma per impiagar noi altri senza compassione;
pertanto, ad adorare, andate ad ora e tempo che loro
non si truovano. E, se pure andate quando vi vanno loro ancora,
non vi volgete dove lor stanno; overo, subito fatta la vostra
orazione a Dio, state fantasticando sopra qualche cosa fastidiosa,
perché cosí, salvando il corpo, salverete l’anima. Perciò serete
grati a Dio ed a tutto il mondo.