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ch’umano fosse, non che amasse alcuna. Perché chi è d’Amor compunto, sempre ha degli altri compassione. Ma egli dovea essere piú privo e nemico d’Amore, che Narciso non fu prima che di se stesso s’innamorasse, facendole simile risposta.
Raverta. ... Anzi fu pur troppo innamorato, come udirete, e meritamente delle sue crudeltá fu pagato. ...
Baffa. Proseguite.
Raverta. ... Udendo questo l’innamorata giovane, considerate quale si restasse. Né altro gli puoté dire che queste parole: — Con tutto ciò, ed io amerò te sempre. — E quindi partitasi, ritornò nella casa, e, postasi sopra il suo letto, essendole tutto il vigore sparso gelato intorno al cuore, sentendosi per amore venir meno, perché era dottissima e virtuosissima, scrisse questi quattro versi, che poi le furono sopra la sepoltura intagliati, ché verisimilmente piú non ne potè comporre, perché, senza mai formar parola che fosse udita, subito se ne mori:
Morte mi die’ chi mi potea dar vita: né pungente coltei mi passò il core, ma, senza aver mercé, soverchio amore: né son però fuor de’ suoi lacci uscita...
Baffa. Volse mostrare nell’ultimo verso d’averlo d’amare anco nell’altro mondo. Ma ne segui poi altro?
Raverta. ... Fu con solenne pompa sepolta e da ogniuno pianta. Le furono poi da diverse persone fatte di molte composizioni, trovando ciascuno nuova invenzione sopra questo caso. Ma in fine fu proprio come egli mi raccontò ed io l’ho ora a voi recitato. Tra le quali medesimamente mi disse questi componimenti sopra ciò fatti dal nostro Betussi, i quali cosí bene fino allora mi s’impressero nella memoria, che mai piú non me gli ho scordati, e sono questi ch’udirete:
— Chi de la vita mia l’ultimo giorno segnerá, lassa? Il duro ferro, o il laccio, o’l possente veleno: e fuor d’impaccio mi leverá con minor doglia e scorno?