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Baffa. Credo anch’io, per fuggire la fatica di dire la vostra e risolvermi d’altre cose. Ma io ve l’ho raccontata per essere stata a proposito del nostro ragionamento, poiché il signor Domenichi tanto contra ragione tassa di crudeltá le donne. Che ne dite voi? Parvi d’aver mai sentito cosa piú crudele?

Domenichi. Trovatene voi un’altra, ché io ne troverò le migliaia di voi donne; ma non le voglio dire, accioché da quelle non appariate ad essere piú crudeli, se piú di quel che séte esser potete.

Baffa. So bene io perché. Perché non ne sapete. Ma voi dite pure il vostro essempio.

Raverta. Per mostrare ch’io non fuggo fatica, ve lo racconterò piú brevemente che sará possibile, affine di non recarvi noia con tante parole né cercare di farvi piangere per compassione; ma perché conosciate come si può morire per troppo amore. Duoimi che anco questa fu una giovane, onde quelle che poi lo sapranno, desiderando farne vendetta, cercheranno di lasciarne morire infiniti.

Domenichi. Purché possano. Ma ditela pure, poiché anco di loro ne muoiono.

Raverta. Il valoroso ed onorato capitan Camillo Caula e, come ogniuno di noi può sapere, e meglio degii altri Vostra Signoria, signora Francesca, uomo cosí per lettere come armi illustre e degno d’essere nominato in ogni cosa d’onore, un giorno che n’occorse ragionare di diversi casi d’amore, mi raccontò questo per verissimo, occorso in Bassano, patria del nostro Betussi, luogo ameno e dilettevole quanto altro che sia d’intorno questi paesi, e pieno di donne amorose e giovani leggiadri. Che fu una giovane bellissima e graziosissima, la quale, avendo piú volte nell’animo suo considerato i costumi d’un vago giovane, e parendole non poter meglio locare l’amor suo in altri che in lui, di lui fieramente s’innamorò; e tanto crebbe l’ardentissimo foco, ch’ogni di piú sentiva consumarsi e venir meno. Onde, piú non potendo cosí misera vita tolerare, deliberò finalmente scoprirgli l’animo suo, non ad altro fine se non per fargli sapere che molto era da lei amato. Nondimeno