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s’entri in simili forme né materie, anzi che s’abbia da provare con ragioni ed essempi la maggior costanza; perché in amore si sono vedute donne costantissime, le quali piú tosto hanno eletto morire che mancare al suo amante; e darovene molti essempi.
Domenichi. Non ne voglio altrimenti, perché sarebbono piú tosto d’ostinazione che di stabilitá. Ma acquetatevi a quanto ne dice il Petrarca, vostro confidente e loro amicissimo:
Femina è cosa mobil per natura: ond’io so ben, ch’imo amoroso stato in cor di donna picciol tempo dura.
E quel che segue.
Baffa. M’avete allegato santo Agostino col dirmi questi versi, scritti piú tosto per martello che per dire il vero.
Domenichi. Non so che «martello», né che «vero». Vi potrei anco addurre santo Agostino, che medesimamente lo dimostra ed apertamente lo dice, e Virgilio che dice la femina essere cosa varia e mutabile.
Baffa. Che ho da fare io di questo altro poeta, che poco l’intendo? E Dio sa se cosí dice! Parlatemi de’volgari, e lasciate i latini da parte.
Domenichi. Cosi sia. Leggete Dante, lá ’ve parla, nella seconda cantica, in persona di Currado, dicendo:
Quando sarai di lá da le largh’onde, di’ a Giovanna mia che per me chiami lá, dove agl’innocenti si risponde.
Non credo che la sua madre piú m’ami, poscia che trasmutò le bianche bende, le quai convien che misera ancor brami.
Per lei assai di lieve si comprende quanto in femina foco d’amor dura, se l’occhio o ’l tatto spesso non l’accende.
Baffa. Lasciate, di grazia, star tanti poeti, perché, volendo coprire il difetto, eh’è in loro, d’instabilitá, l’attribuiscono a noi donne. Come fece Tibullo ch’amò Delia e lasciolla per Nemesi,