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ora si ragiona: qual sia piú fervente amore, quel del timido o dell’ardito.
Domenichi. Il piú lodevole conviene anco che sia il migliore.
Baffa. A questo modo concludete che piú ama il timido che l’ardito non fa?
Raverta. Veramente è cosí il vero, perché chi ama teme, e, temendo, si persevera: onde, amando e perseverando, si vive con una certa téma e riverenza che da noi ci divide e con lo amato congiunge. Laonde poi Amore, vero conoscitore dei cuori degli amanti, riferisce i desidèri dell’uno nell’animo dell’altro. Però sempre terrò questa opinione per vera: che sia piú fervente l’amore con téma che con ardire, perché quella fa fede della riverenza che si porta alla cosa amata.
Baffa. Sia dunque cosí. Ma voi, signor Lodovico, so che fate il timido dadovero, poiché troppo non ragionate, anzi mi lasciate confondere con ogni minimo argomento. E, di piú, se il signor Ottaviano m’allega una ragione, sempre ve ne aggiungete un’altra per lui. Ma invero darò ancora che fare a voi.
Domenichi. Come vi piace. Ma parmi che gli abbiate risposto di maniera ch’io non avrei saputo far tanto.
Baffa. Si, si, è vero, e non si può negare; ma le mie risposte sono state frivole e di nessun momento. E ben so che, chi avesse meglio sostentate le ragioni e le difese d’uno amante ardito, che cosí di leggiero il timido non gli sarebbe stato superiore. Or sia con Dio, poich’io mi sono acquetata. Ditemi ora voi, signor Domenichi: chi pensate che ami con piú fervore: l’uomo o la donna?
Domenichi. È facile da giudicare.
Baffa. Forse volete dir l’uomo?
Domenichi. È vero e certo.
Baffa. La cagione?
Domenichi. Infinite ci sono e cause e ragioni.
Baffa. Incominciate a dirmene una.
Domenichi. La principale è questa, e sia detto con pace vostra: perché l’uomo è piú perfetto della donna, e però, quando diventa amante, ama con piú fervore.