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è maggior parte di quello, similmente la téma è maggiore. Questo avviene, percioché l’intendimento dell’amata non si può intiero sapere. Ma quei che sono arditi mostrano di poco apprezzare l’amore, né sono dadovero infiammati. Ma il timido, oltra che ritiene in sé tutte quelle vive fiamme e quei cocenti ardori, non fidandosi di scoprirgli né osando domandar mercé del suo languire, ama con infinito amore. E la sua téma d’altro non nasce che dall’amore, perché in tutte l’altre imprese saranno animosi ed audacissimi, ma in questo pusillanimi e timidissimi. E però dov’è vergogna, ivi è timore; e dove è maggiore il timore,, piú vi dimora Amore.

Baffa. Ma, se Amore è una fiamma che non si può nascondere, come è possibile che un vero amante possa esser timido; ed essendo Amore un desiderio di fruir la bellezza, che non sia ardito al fine pervenire a quella?

Raverta. Vi dirò. Amore è un desiderio acceso dall’amato, ch’entra per gli occhi nostri e scende al cuore. Onde gli occhi nostri mostrano e fanno fede del cuor nostro e dell’amore; e per gli atti e movimenti si conosce la perfezzione e possanza di quello, e non per le parole. Anzi, entrando in noi a questo modo, ne toglie lo ardire, non di maniera che non ne lasci accompagnati con qualche speranza. Si che io giudico e per esperienza dico: che sempre ama piú l’amante timido che l’ardito. E convien quasi a viva forza, uno che sia dadovero infiammato non di sfrenata libidine, ché di questa non s’intende, ma di vero amore, esser timido. Perché la riverenza, che porta alla cosa amata, causa questo, come ben si dimostra l’innamorato Petrarca in tutto questo sonetto:

Piú volte giá dal bel sembiante umano ho preso ardir con le mie fide scorte d’assalir con parole oneste, accorte la mia nemica in atto umile e piano.

Fanno poi gli occhi suoi mio pensier vano, perch’ogni mia fortuna, ogni mia sorte, mio ben, mio male, e mia vita, e mia morte quei, che solo il può far, l’ha posto in mano.