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66 trattati d'amore del cinquecento


Baffa. Io v’intendo. — Chi con ragione ama piú: il timido o l’ardito?

Domenichi. Avendo ciascuno a dire la parte sua, questa tocca a voi, signora.

Baffa. Questo non voglio io, perché, oltra ch’io propongo le questioni, io ho risposto e rispondo ad ambidue voi; onde faccio pur troppo opponendomi con l’ignoranza mia alla dottrina vostra.

Raverta. Sia con Dio. Ma, a quel ch’io veggo, perché questo ragionamento a me perviene, con poche parole vi risponderò; e molto piú loderò la tèma che lo ardire, essendo sempre stato negli amori miei timidissimo, come ancor io sono. Ed amo quanto piú ferventemente amar si possa, talché giorno e notte il mio cor mai non riposa, anzi solamente allora respira, mentre gli pare essere rinchiuso nell’amato obietto. E tanta è la riverenza ch’io gli porto, che non ardisco scoprire l’amor mio. Ben so ch’ella sa ch’io l’amo e ch’io l’adoro: di ciò mi contento e timidamente, in me morto, in lei vivo dimoro. Perché considero che, se io le scopro il mio amore e le ne domando mercede, che forse si potrá sdegnare ed escludermi dalla grazia sua. Onde io mi contento di cosí languire. E, quando anco questo sospetto non mi tenesse, Amore pur mi terrebbe, perché dei veri amanti è privilegio il timore.

Baffa. Sète sospetto, e in ciò parlate con affezzione. Queste son ragioni vane. Conciosiaché Amore a chi ferventemente ama porge ardire, onde, scoprendo all’amata i suoi dolori e sperando averne mercede, se ha qualche risposta accompagnata da speranza, piú s’infiamma ed arde; e, cosí perseverando, cresce lo amore quanto piú crescer puote.

Raverta. Anzi teme l’amante: giunto al cospetto della sua donna, diventa mutolo, né sa formar parola; oltra che dubita, se con parlare a lei scoprisse questo suo amore, di esserne cacciato. E che sia il vero, non ve lo mostra il Sannazaro nella sua Arcadia, parlando, sotto nome di Sincero, del suo amore? Onde io giudico che l’amante timido ami piú ferventemente, perché sempre Amore fa timidi coloro in cui dimora. E, dove