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64 trattati d'amore del cinquecento


le sue bellezze con lisci ed altre cose simili, si abbellirá la faccia tanto ch’apparirá piú bella e piú vaga; nondimeno cosí industriosamente non potrá farlo né tanto bene che, poco o molto, non paia fatta ad arte e non naturale. Cosí anco è uno che voglia fingere amore. Medesimamente una donna, che sia bella di natura, non potrá mai contrafarsi la faccia con arte, per rendersi men bella, che non sia conosciuta per quella ch’è e non si conosca che voglia ascondere le sue bellezze. E meglio adornerá la deforme la sua bruttezza, che non celerá la bella la sua bellezza. La quale si può assomigliare a uno che voglia fingere di non amare: ché, faccia quanto vuole, non potrá mai tanto fare che lo celi, benché sia difficile.

Baffa. Orsú, conosco il vero anch’io, ed ho che fermamente sia cosí. E, poiché il signor Ottaviano m’ha di questo fatto chiara, voglio che si riposi alquanto, e voi mi direte il parer vostro d’intorno a questo altro dubbio: Se possibile è ch’uno avaro ami.

Domenichi. Dite a me?

Baffa. A voi dico.

Domenichi. Io non fui mai avaro, e meno penso d’esserci, onde mal vi saprei di ciò render ragione: però vi prego ad impormi altro carico, ché forse meglio ne restarete sodisfatta.

Baffa. Se io volessi ora parlarvi d’altro, non v’avrei di ciò richiesto. Ma tosto incominciate a farvi pregare. Ditene quello che ragionevolmente vi pare, ché io ve ne prego.

Domenichi.

Tan m’abbelis vostre cortes deman;
ch’ieu nom puesc, nim vueil a vos cobrire.

Baffa. Parlatemi cristiano, ch’io non v’intendo, e non incominciate a volere consumare il tempo in queste favole, perché a ragione mi dorrò di voi.

Domenichi. Non vi turbate, di grazia; ché pur tuttavia vi dico che vi dirò il tutto e, se si può fare, dironne anco piú che non ne sento.

Baffa. Sia col nome di Dio.