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56 trattati d'amore del cinquecento


Domenichi. «Ma dove lascio il mio valoroso capitan Camillo Caula, le cui vive virtú e reale animo rende ogni cuore ad onorarlo astretto? Ben dirò io esser non poco dell’alto suo valore acceso e di quelle rare e perfette qualitá ch’oggidi sí vedono in pochi, ed in lui talmente abondano, che chi brama specchiarsi in un vero folgore di battaglia, si specchi nel coraggioso ed ardito animo suo. Né mai tempo o destino potrá fare che il mio volere dal suo si disgiunga. E di ciò non dubito che l’affezzion m’inganni, ma voglio che mi scorga il commuti giudicio».

Raverta. Per mia fè, che questa è una lunga lettera.

Domenichi. Per certo sí; ed abbiamo ora poco di piú passato il mezzo.

Baffa. Lasciatela ora, ch’un’altra volta la fornirete.

Domenichi. Per Dio, ch’io non farò; poich’io veggo pure ora, ch’ella incomincia a nominare i virtuosi.

Baffa. Dico ciò, perché non v’incresca; poiché le cose lunghe sogliono recar noia.

Domenichi. A me non reca noia alcuna il leggerla, perché non meno sono io scioperato ora di quello ch’egli era forse quando la scrisse.

Baffa. Mi par che abbiate ragione, e però seguite.

Domenichi. Dov’era? Ho trovato. «Vi sono anco degli altri assai, i quali lascerò adietro per non fastidirvi. Infiniti, rari, belli e pellegrini ingegni ci sono, de’ quali in parte ho non poca domestichezza e molti riverisco per i meriti loro, tra i quali voglio dare il principato a una gentildonna, la quale non solo è virtuosissima e dottissima, ma è scuola ed albergo di dotti e virtuosi, da me a voi tante volte sentita ricordare: madonna Giulia Ferretta. Vi è il rarissimo ed unico messer Trifon Gabriele, tanto degnamente da tutto il mondo e celebrato ed avuto in pregio. Il mio divinissimo signor Pietro Aretino, del quale è tanto noto il valore, che soverchio sarebbe il parlarne con esso voi, il quale molto ben sapete come egli è riverito da tutti i virtuosi e temuto da ogni principe. L’eccellentissimo filosofo ed oratore messer Speron Sperone