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34 | trattati d'amore del cinquecento |
di due o di pochi piú, la cui virtú rende ciascuno desideroso del bene dell’altro e doglioso del male. Né è vero amico quello che comunemente non vien partecipato né partecipa delle prosperitá ed aversitá dell’altro, conciosiaché in diversi corpi vi convenga abitare una sola anima. ...
Baffa. Come dite «sola»?
Raverta. Lasciatemi seguire. Dico «una sola anima», e bene; imperoché tutte s’uniscono insieme e divengono miste ed incorporee, ché altrimenti non potrebbono partorire la conformitá ed uno istesso dolore delle cose adverse e generale allegrezza delle prospere. E quanto piú amore è invecchiato negli amici, tanto è piú fermo. E quanto piú è stato corrispondente ne’ piú teneri anni, tanto piú viene ad essere stabile, santo e vero ne’ piú maturi.
Domenichi. Se cosí è, non dubito che lo amore portato giá tanto tempo al Betussi, e quello ch’egli ha mostrato in me, non sia di maniera cresciuto con gli anni, che l’amicizia nostra sia divenuta ed abbia ad esser tale che né prosperitá né aversitá potrá mai cangiar gli animi nostri.
Raverta. Voi vel sapete. So ben io questo: che ogni difficile impresa per voi gli sarebbe facilissima ed ogni pericolo sicurtá, né temerebbe esporre la vita sua ad ogni manifesta morte, per salvare l’onore e la vostra, piú che facessero Damone ed Entidico, Antifilo e Demetrio greci, e tanti altri, come fu Dandamis ed Amizocco sciti; il quale Amizocco, essendo rimaso in un fatto d’arme l’amico prigione, per liberarlo, non avendo robba, consentí di lasciarsi cavar gli occhi, onde poi Dandamis medesimamente, per non essere superiore a lui, volontariamente si orbò.
Domenichi. Non è da dubitare che egli non abbia il contracambio, ed agli effetti si vedrá, se non è noto quanto finora ho fatto per lui, quello che sarò per fare tutta volta che bisogni.
Raverta. Violareste il santo nome dell’amicizia, facendo altrimenti; ché di quanta potenza sia e quanto saldo un tal legame, si può comprendere dall’amicizia di Pilade ed Oreste, da quella di Teseo e Piritoo, di Niso ed Eurialo, di Damone e Pizia, di Agatocle verso Clinia, di Eudamide, il quale poverissimo,