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30 trattati d'amore del cinquecento


Raverta. A questo: che se l’anima declina allo amore intellettuale, se la declinazione è poca, ma non però si poca che non si regga coll’intelletto, benché in lei sia qualche particella di sensualitá, l’uomo può chiamarsi continente. Se poi declina piú all’intellettuale amore, e non vi resta lo stimolo del sensuale, l’uomo diventa temperato. Ma se piú s’inclina del dovere all’amor corporale, ancora che nell’uomo rimanga qualche scintilla dell’intellettuale, declinando però piú al sensuale, si chiama incontinente. E poi, accostandosi molto piú alla sensualitá, di modo che l’intelletto non vi abbia loco né gli possa resistere, diviene intemperato. E questo è per le ragioni delle mutazioni dell’animo, cioè nella contemplazione della bellezza intellettuale e della corporea. Però nell’uomo si trovano due diversi amori, sí come si trovano due diverse bellezze intellettuali e corporali. Onde considerate: quanto è piú eccellente e degna la bellezza intellettuale della corporale, tanto piú degno è lo amore spirituale del corporale. E però vengono ad essere due amori, due bellezze e due Veneri.

Baffa. Quali sono queste Veneri?

Raverta. Una celeste e l’altra volgare: la celeste s’intende nata nel cielo, senza altra madre; l’altra è quella favolosa di Giove. Per la celeste s’intende quel desiderio e quello amore intellettuale e perfetto, che può rendere l’anima astratta da tutte le altre cose alla contemplazione spirituale. Per l’altra s’intende quel libidinoso e biasimevole appetito, che ad altro non tende, eccetto che a godere quella ombra di bellezza vana; e ben si dice Venere e Amor volgare, percioché è quello che segue il vulgo, il quale, sí come meno intendente e piú rozzo investigatore delle perfette bellezze, piú difficilmente le apprende e meno le conosce. E però i piú savi son quelli ch’amano meglio e piú drittamente.

Baffa. Se cosí fosse, a’ piú volgari sarebbe tolto di potere perfettamente amare.

Raverta. Certo che in gran parte essi ne sono privi, perché non hanno quella perfetta cognizione, la quale è propria dei savi, i quali, investigatori del buono, conoscono quello ch’è