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i - il raverta 29


E ben sapete che l’amante nell’amato si trasforma. Onde dirovvi che il bene dell’amato è piú proprio suo che il suo, sì che, desiderando l’utile, il buono e ’l diletto dell’amico, il suo proprio appetisce, ché il tutto è comune, essendo, come si presuppone che sia ad esser vero, l’amore reciproco, onde due che s’amano non sono piú due.

Baffa. Quanti dunque sono? Chè pure ho amato anch’io, e son pure stata quella medesima, e quello ch’io amava non era giá congiunto meco, anzi sempre siamo stati due, ed amava persuadendomi anch’io d’essere amata e so che cosí era.

Raverta. Anzi eravate uno istesso, o quattro.

Baffa. Tanto meglio, ché pure vorrei intendere come io sia stato due, ed egli due.

Raverta. So che fate per tentarmi, e non perché meglio di me non sappiate quel che vi voglio dire.

Baffa. Non lo so giá io.

Raverta. Se avete amato, essendo quella rara donna che séte e di cosí maturo e perfetto gíudicio, punto non dubito che non abbiate perfettamente amato, onde ogniuno, che sia pur un poco intendente, sa molto bene come si diventa uno e quattro.

Baffa. Di uno comprendo quasi quello che vi volete dire, e considero ciò che contiene in sé quel detto; ma non passiamo piú oltra. Voi credo che vogliate inferire Ch’Amore unisce tutti due gli amanti e gli fa uno, perché, essendo lo amore vicendevole, sono di un volere istesso; ma come quattro?

Domenichi. Accioché a questa differenza piú tosto si dia fine, e d’alcuna altra particolaritá si ragioni che ad amor si convenga, ve lo dirò io. Se ogniun di loro si trasforma nell’altro, ciascuno diventa due, cioè amato ed amante; ed essendo ognuno amante ed amato, sono quattro, cioè ciascuno amante ed amato.

Baffa. Ora sí che ho compreso l’intenzion vostra.

Raverta. Ma dirò anco che in amore l’uomo diventa continente, temperato, incontinente ed intemperato, secondo che l’anima meglio o peggio s’è fermata nel perfetto amore.

Baffa. A qual partito?