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Giovan Giorgio. Malamente posso portare questa pazienzia. Mia moglie pensa ora ragionar co’ suoi libri, i quali sempre l’ascoltano e mai non le rispondono. Che abbiamo noi a fare degli angeli e degli altri corpi celesti ed incorporei? Noi vorremmo sapere quali siano le bellezze piú convenevoli e piú proprie delle donne e degli uomini, e quali le deformitá; e non tante chimere. Non è cosí il mio conte Da Coo?

Massimiano. Cosi a punto.

Leonor a . Troppo voi séte impazienti fuor di misura. Bastami, se in questo non aggrado a voi, ch’io sodisfaccia al signor Bernardo, il quale in ultimo correggerá i miei errori, ed al signor Giovan Tomaso, che intentamente m’ascolta, ed a questi altri signori.

Arena. Anzi, come ad oracolo, sono intento alle parole vostre.

Capello. Né io penso udir cosa che di correzzione bisogno abbia.

Leonora. Troppo è questo. Ma, s’eglino vogliono ch’io mostri le vere bellezze dell’uomo e della donna, convengono essere piú temperati ed aspettar tanto ch’io scenda alle qualitá ed alle parti loro, le quali essendo tolte dal cielo, forz’è ch’a Dio ed in Dio io drizzi il pensiero, come fonte ed origine di tutte le cose e buone e belle. Se poi cercate saper come debbano essere o bionde o aurate o crespe le chiome, come profilato il naso, come gli occhi neri, allegri e lucenti, come la fronte alta e spaziosa, come le guance bianche e colorite, non molto rilevate né fuor di misura ristrette, come le labra rosate, la bocca picciola, i denti di perle e la voce sonora, come il collo di netto e puro avorio, come le spalle ampie, come il petto spazioso e rilevato, come le braccia di giusta misura, come la mano candida, senza nodo e senza vena apparente, come le dite schiette, dritte e lunghe, come l’ugne di color di corallo, come il piede picciolo e stretto, e come insomma tutta la persona di debita proporzione e di giusta statura e di tutte l’altre parti apparenti che si convengono a donna di vista amabile; altro dipintore che me attendete. Ché di queste poco vi sono